Credo che, forse, non assisterò ad alcun focus dell’imminente Festival del Diritto.
Principalmente per una improvvisa e verticale caduta d’interesse, alla quale non so –né voglio- reagire, che, pur non essendo mai stato tanto convinto (il nome di Rodotà essendo vago presagio del sopravvenire di dense nubi ideologiche sull’orizzonte della manifestazione) della bontà e genuinità del prodotto che ci si voleva propinare, ho subito avvertito quando al decantato spessore culturale dell’evento si è sostituita la cruda consapevolezza di cosa il Festival, in realtà, sia: una operazione culturale non trasparente ed ideologicamente orientata contro i valori cristiani e contro la Chiesa per far rivivere i propositi e le istanze etiche progressiste della passata legislatura.
Ho la presunzione di sapere cosa certi relatori verranno a dire, e, non sentendone il dovere, non ho nessuna voglia di ascoltarli, per rivivere turbolenze e ribollimenti interiori già gratamente tramontati con la caduta del governo Prodi, né di assistere e tantomeno sostenere tanto accaniti quanto inutili dibattiti.
Su certi valori credo non si possa discutere, né da destra né da sinistra.
Per cui: chi ha voglia, vada.
E se dalla nostra polemica, sgradevole ma pur necessaria, come è stato detto, scaturisse qualche buon frutto di … ‘conversione’, ben venga anche il Festival!
Ma dalle premesse pare lecito (e ragionevole) dubitarne.
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