mercoledì 27 febbraio 2008

L'agonia


'L'agonia psicologica e spirituale conseguente all'aborto viene soffocata dalla società, ignorata dai mezzi di comunicazione, rifiutata dagli psicologi e disprezzata dai movimenti femminili. Il trauma post-aborto è una malattia grave e devastante che non dispone di portavoci celebri, che non è oggetto di film, né di programmi televisivi o talk show (Forbidden Grief: The Unspoken Pain of Abortion, Theresa Burke - David C. Reardon)' (Cinzia Baccaglini, 'Il non riconoscimento del volto umano del concepito: quali conseguenze?', in F. Agnoli, Storia dell'Aborto, Fede & Cultura, 2008).

Una culla per la vita

Non è dato sapere se ciò risponda a dati reali (sarebbe interessante verificarlo), ma si dice che a Piacenza non nascano quasi più bambini malati.
Muoiono tutti prima del parto, abortiti dalle loro madri, alla prima diagnosi di possibili malattie o malformazioni fetali.
Ed è anche per la diffusione degli aborti che il 19 aprile 2007 Benedetto XVI ha approvato il documento elaborato dalla Commissione Teologica Internazionale su “La Speranza di salvezza per i bimbi che muoiono senza essere stati battezzati”, per cui, smentita l’esistenza del Limbo, si è affermata la speranza di salvezza anche di queste creature.
Le Aziende Sanitarie Locali sono quindi diventate il nostro moderno Monte Taigete, dalle cui cime nell’antichità di Sparta si gettavano i neonati malformati, azione oggi metaforicamente possibile, in tutta liceità, per i dettami ipocriti di una legge dello Stato, la n. 194 del 1978.
Sono tante, infatti, le ragioni, relative sia al testo della legge, sia alla sua applicazione pratica, come avviene nella prassi dei consultori, con le quali si potrebbe dimostrare che questa legge è, in realtà, un traballante paravento che tenta malamente di nascondere, dietro la facciata della tutela della pur preziosa salute della donna, una sbrigativa mentalità abortista, che con la stessa non ha proprio nulla da spartire.
Ma, nel momento in cui la moratoria sull’aborto lanciata da Giuliano Ferrara dalle pagine de Il Foglio sta finalmente travolgendo, come un fiume in piena, la impenetrabile barriera di silenzio che, dal momento della sua approvazione ed entrata in vigore, ha sempre accompagnato la (unilaterale e distorta) applicazione di questa legge, ipocrita pure nella sua titolazione, non è questa la sede per esporle.
Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che la vigente legislazione sulla eufemisticamente chiamata “interruzione volontaria della gravidanza” sembra incarnare ed esprimere l’incomprensione di sé e della propria vocazione, oltre ad una vera e propria avversione alla maternità, alla quale molte donne del nostro secolo sono state, purtroppo, spinte dalla adesione a visioni della vita ed a modelli culturali fortemente condizionati dai falsi miti delle ideologie correnti.
Sperimentando, qui sì, la propria solitudine.
Diversamente non si spiega perché le donne e le madri in difficoltà non debbano lasciarsi aiutare e non accettino di dare alla luce i propri figli, affidandoli, poi, per esempio, alla pietà del prossimo, in vista della futura adozione.
Forse non è abbastanza risaputo che è possibile farlo in modo anonimo, come accuratamente spiega il sito internet dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Piacenza, in forza di numerose e rassicuranti norme di legge (art. 250 cod. civ.; art. 9 legge 798/27; art. 2 legge 127/97; Art. 31, comma 2, Cost.; art. 11 legge 184/83).
Oppure, più romanticamente, ricorrendo alla “ruota degli esposti”, pietoso istituto dei tempi che furono, ma anche dei nostri.
Viene da chiedersi se sia più grave, per una madre, il rimorso di averlo esposto, ma con la consapevolezza di saperlo vivo ed affidato, o il ricordo di avere ucciso, soppresso, eliminato, dite un po’ come volete, il proprio figlio nel proprio grembo, per quante giustificazioni vi si possano trovare ed addurre.
Di questi tempi, abbiamo bisogno di segni, anche piccoli, che ci aiutino, come ci esorta Benedetto XVI, a sperare.
L’ultima “ruota”, nella nostra Città, è stata installata un anno fa, su iniziativa di Don Angelo Bertolotti e con il contributo del Llyons Club S. Antonino, con l’allora Presidente Avv. Angelo Perini, presso il Centro Manfredini di Via Beati, 56/A.
Un piccolo segno.
Una iniziativa che oggi, con il dibattito in corso sulla legge 194, si carica di significati simbolici.
Perché, se chiedete a Don Angelo, la “Culla per la vita” (così si chiama la moderna ruota di Via Beati), non è, fino ad oggi, mai stata usata.
Da nessuno.Per l’appunto.

Il matrimonio usa-e-getta

La Seconda Commissione Giustizia della Camera ha approvato il testo base, predisposto dal Senatore Brutti, del disegno di legge in tema di riduzione, ad un anno, dei tempi di divorzio, e per l’abolizione dell’addebito nelle separazioni, introducendo, anche, nuovi automatismi successori a favore dei coniugi separati, prima dipendenti dalla declaratoria di eventuali responsabilità del fallimento coniugale.
Lo spirito dichiarato delle nuove norme in discussione, almeno per quelle relative all’abolizione dell’addebito, è quello di togliere dai procedimenti di separazione elementi di conflittualità che, nella prassi, sono non di rado pretestuosamente introdotti dai coniugi per motivi di rivalsa o con intenti più prosaicamente speculativi.
E che questo avvenga, nella prassi dei tribunali, è senz’altro, tristemente, vero.
Ma l’addebito della separazione, per quanto sgradevole e malamente strumentalizzato nell’ambito dei procedimenti di separazione, costituisce comunque, in qualche modo, presidio dell’osservanza, da parte dei coniugi, dei doveri coniugali di fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale, da loro solennemente assunti con il patto matrimoniale.
Nelle nuove norme proposte, invece, venuta meno questa garanzia, il diritto di ciascun coniuge di ricevere un assegno per il proprio mantenimento dipenderà dalla mera ed asettica valutazione dei rispettivi redditi.
Così potrà accadere che il coniuge offeso e tradito sia anche iniquamente gravato dell’obbligo di mantenimento dell’altro.
In pari tempo si vorrebbe che il tempo occorrente per ottenere il divorzio dopo la prima udienza, detta presidenziale, nel procedimento di separazione, sia, dai tre attuali, ridotto ad un anno.
Aldilà dei proclami e delle buone intenzioni che possano animare i senatori proponenti (i cui pensieri paiono tuttavia ideologicamente orientati), si assiste ora al tentativo degli stessi di banalizzare e ‘sterilizzare’ il contenzioso matrimoniale, imbavagliandone i protagonisti e riducendone gli adempimenti a mere e sbrigative formalità.
Il tutto con norme che introducono nel nostro ordinamento una specie di matrimonio usa-e-getta, con doveri affievoliti e privi di sanzione per il caso di loro inosservanza, che ne accentuerà i casi di dissoluzione in modo esponenziale, come testimonia l’esperienza della vicina Spagna.
La famiglia si presenta, quindi, di questi tempi, nei suoi tratti generali, sconvolta e tradita da un uomo spesso rinunciatario alle proprie prerogative di marito e di padre; da una donna che si nega alla maternità e reclama il diritto di uccidere i propri figli nel proprio grembo; da figli privati di una vera educazione ed abbandonati a sé stessi nella ricerca dei valori fondamentali della vita; da un legislatore che, dopo averla smembrata nelle separazioni e nei divorzi, vuole ora svuotarla di forza e di contenuti legittimando le unioni di fatto; riconoscendo e valorizzando i rapporti omosessuali; privandola finanche del nome che ne ha, fino ad ora, contraddistinto l’intima unità; cercando, da ultimo, di sminuire l’importanza dei doveri matrimoniali e sancendo brevi termini per la dissoluzione del matrimonio su cui la stessa si fonda.
Un quadro sconfortante che attesta inequivocabilmente la durezza dell’attacco, in odio all’uomo, in corso ai danni della cellula fondamentale e primigenia nella quale si forma la persona.
L’incapacità di comprendere il bene della famiglia e della società che il legislatore, così facendo, dimostra, pare voler travolgere ciò che di buono ancora custodisce la tradizione, con profonde radici cristiane, del nostro popolo, generando sofferenze e disorientamento nei coniugi, nei figli, nella società.
Ma siamo certi che la famiglia resisterà, grazie all’impegno di tanti laici intellettualmente onesti ed all’esempio di tante famiglie a cui le nuove generazioni potranno guardare fiduciose, traendone le ragioni di una vera Speranza.
E questo è l’auspicio con il quale, nonostante tutto, vogliamo inaugurare, per la famiglia, il nuovo anno 2008.

La legge 194 sull'aborto: un falso mito da sfatare.

E’ stato tutto un levar di scudi ed uno stracciar di vesti, degno delle migliori commedie all’italiana ed evocante l’immagine di strillanti e prezzolate prefiche di riti funebri antichi e moderni.
Ma cosa avrà mai detto di così esplosivo, scandaloso od eversivo il Prof. Franco Colombo, stimato ed apprezzato primario del Reparto Ginecologia dell’ospedale cittadino, nella intervista a Libertà del 16 febbraio scorso, che ha suscitato le reazioni scandalizzate delle moderne suffragette, improbabili paladine di un femminismo retrivo e stantio, retaggio di tempi che furono, se non riferire, da operatore attento e preparato, la realtà applicativa della legge 194 sulla cosiddetta IVG (leggasi ‘interruzione volontaria della gravidanza)?
Una realtà che, come si suol dire, sanno anche i bambini.
Soprattutto quelli che, come si potrebbe aggiungere con tristemente macabra facezia, proprio grazie alla legge 194 non hanno potuto vedere la luce.
Fuor di metafora, l’applicazione della legge 194 è, infatti, una vera e propria mattanza, che richiama, mi si scusi la crudezza evocativa, quella delle tonnare siciliane d’un tempo, le "camere della morte" dove, per una singolare analogia, i tonni arrivavano a trovare la morte nella stagione dell'accoppiamento.
In campo abortivo, la cosiddetta autodeterminazione della donna è rivendicata dalle moderne epigone di Kate Millet e Shulamith Firestone né più né meno come il diritto, che vorrebbero sacrosanto, di accettare o meno, a proprio insindacabile arbitrio, come se fosse un qualsiasi fatto privato, la gravidanza e la vita dell’esserino che gli si và formando in seno.
Nient’altro che la fedele applicazione del noto (e trucido) slogan degli anni 60.
‘L’utero è mio, e lo gestisco io’.
Al diavolo la salute della donna e, ancor più, quella dell’inerme ed indifesa creatura che porta in seno, inutili pastoie dialettiche utili solo a far passare la legge tra i bigotti (e, a dir poco, disattenti) cattolici, ed a confondere l’opinione pubblica.
Quello che, solo, conta è l’affermazione rigida, tutta ideologica ed intoccabile come un dogma (che, così come è articolato, è solo un aberrante delirio), che alla donna deve essere riservato il diritto di decidere della vita e della morte del feto, ridotto ad uno stupido ed insignificante grumo di cellulette.
Ciò a dispetto della ragione, e delle stravolgenti prospettive dischiuse dai moderni metodi di indagine diagnostica per immagini (le banali ecografie!) che ce lo hanno fatto vedere, annidato nel grembo materno, muoversi, vivo e vitale, spaventato al cospetto della ventosa meccanica che lo vuole risucchiare; che ci hanno mostrato una creatura che percepisce le voci ed i suoni; che soffre il dolore; che vive le angosce ed i turbamenti della madre.
E’ per questo che la legge 194, una legge ipocrita, che nella ambigua formulazione di alcuni articoli si presta e pone le premesse per l’applicazione distorta ed unilaterale, in senso mortifero, che se ne è fatta e tuttora disinvoltamente se ne fa, con lo scandaloso placet dello Stato, è brandita dalle moderne ideologhe della mostruosa ed intoccabile sovranità della donna, come spada perennemente lorda di sangue, che continua a perpetrare il penoso, erodiano eccidio di innocenti che ogni giorno si consuma sotto i nostri occhi.
Le ASL sono, quindi, come turpi rupi tarpee, come orridi monti Taigete dalla cui cima questa irreale e deturpata immagine di donna continua, a suo arbitrio, a divorare e distruggere i suoi stessi figli, sfracellandoli, con il dono della vita e della speranza che essi racchiudono e ci offrono, sulle rocce ciniche di una insensibile ed inflessibile ideologia.
Con sofferenze profonde che si trascinano nel tempo ben oltre la consumazione del fatto, a partire dalle attese davanti alle squallide pareti dei consultori.
Che il certificato fosse una barzelletta lo sapevamo già, da tempo.
Non c’era certo bisogno che ce lo dicesse, con assoluta ed oggettiva onestà, il primario di un qualsiasi reparto ginecologico degli ospedali italiani; un medico operante nel pieno rispetto della normativa vigente, e che si avvale, anche, dei diritti e della facoltà ivi previste, compresa quella di fare obiezione di coscienza, al quale và tutta la nostra stima e solidarietà.
Oppure, da medici, bisogna essere necessariamente abortisti ed omicidi?
Perché tale è la parola esatta per qualificare l’aborto.
Forse non formalmente, nel senso tecnico-giuridico di cui alle norme vigenti, come, cavillando sui termini e sulle parole, si è di recente ritenuto di dover far notare.
Ma lo è certamente nel suo senso sostanziale, di soppressione di una vita umana, quale (piaccia o no) è anche quella del concepito.
Dalle reazioni all’intervista del Prof. Colombo trapela tutto il dispotismo e l’intolleranza della ideologia, che a chi si permette di pensarla diversamente riserva, quando va bene, l’emarginazione e, qualche volta, il linciaggio morale o mediatico (in tema di omosessualità, si veda il recente caso dello psichiatra cattolico Tonino Cantelmi).
Opponendovisi, poi, con luoghi comuni e vecchi slogan, che sono triti e ritriti stereotipi del femminismo sessantottino, maleodorante di naftalina, che, se avevano una ragion d’essere ed un terreno fertile nell’euforia rivoluzionaria di quei tempi, oggi, alla luce della ragione ed anche della evoluzione delle conoscenze mediche, non possono più reggere.
Non è vero, infatti, come ci si vorrebbe far credere, ed è tutt’altro che dimostrato, che la legge 194 abbia abbassato il numero degli aborti.
Fatto che, se avviene, è probabilmente dovuto ad altre dinamiche.
Per avvalorare una tale tesi si gioca sui numeri, esagerati ed inattendibili, degli aborti clandestini ante ’78 e sulla vergognosa propaganda che se ne è fatta.
Ma, oltre a ciò, smentiscono l’attendibilità di tale tesi la crescita dell’età in cui si cerca un figlio e la sempre maggior infertilità delle coppie; l’incidenza del ricorso alla pillola abortiva, la RU486; l’aumento della contraccezione; la derubricazione a raschiamento e ad aborto spontaneo di interventi a tutti gli effetti abortivi; la denatalità ed il tasso di abortività (costante quando non in crescita) ad esso significativamente correlato; l’ignoranza dell’odierno trend degli aborti clandestini che l’’aborto legale’ può avere sì, in parte, ridotto, ma simmetricamente incentivatone il ricorso in generale e per aborti eugenetici e selettivi.
A ciò si aggiunga l’attività pro-life del volontariato dei Centri per la Vita e di altri.
La legge 194, pertanto, non può essere definita una buona legge, tanto meno alla stregua di presunti, ed indimostrati, buoni esiti della stessa.
E’, anzi, questo, un falso mito da sfatare.
Si vorrebbe, infine, che il tema della vita e della moratoria sull’aborto rimanessero fuori dal dibattito elettorale e non strumentalizzato.
Come, invece, contraddittoriamente fanno proprio le stesse amministratrici che lo invocano, intervenendo sul tema, dopo la pubblicazione dell’intervista del Prof. Colombo, con qualche buon proposito sulla prevenzione, che và incoraggiata, ma anche con una serie di banalità, luoghi comuni e veri e propri errori.
Per esempio la citazione dei fatti di Napoli, notizia che si è rivelata essere una clamorosa montatura, poi ritrattata dagli stessi quotidiani che l’avevano diffusa: parafrasando Shakespeare, tanto clamore, anche nelle successive manifestazioni di piazza, per nulla.
Ma come? Il dibattito sulla vita nascente è tra i più interessanti e coinvolgenti che la società civile ha finalmente affrontato negli ultimi trent’anni, la gente si aspetta di sapere come la pensano, sul punto, i politici che si appresta (ahimé) ad eleggere il 13 e 14 aprile, e di sapere che cosa gli stessi intendano fare su questi temi, ed il tutto dovrebbe essere rimosso e revocato nel silenzio?
Sì, nel silenzio.
Lo stesso a cui si vorrebbe utopicamente ridurre, con le sue pene ed i suoi rimorsi, la coscienza delle donne che da questa società sono state lasciate sole e, di fatto, sbrigativamente costrette ad abortire, non aiutate né sostenute in scelte e prospettive diverse.
Magari perché è stato fatto loro mancare quel minimo di fiducia e di sicurezza di cui avevano bisogno, che so, sulla possibilità di avere poi i soldi per sostenere le spese dell’asilo e per i pannolini.
Al tavolo che si vorrebbe convocare sulla applicazione della legge 194, si tenga, per favore, conto anche di questo.
Si parli, per favore, con verità, della aberrazione della pillola abortiva, della famigerata RU486.
Si invitino i rappresentanti dei farmacisti, e si operi affinché possano avvalersi, anche loro, dell’obiezione di coscienza.
Respingiamo con forza la farisaica consegna del silenzio alla quale una certa politica, di destra o di sinistra che sia, ipocrita, infingarda, opportunista, attenta più alle dinamiche di voto che non ai temi veri della vita, ci vorrebbe relegare.
In una parola, svegliamoci e diamoci da fare.
Non si può, davvero, più tacere, perché della vita di questi innocenti siamo anche tutti noi sempre più responsabili.