mercoledì 27 febbraio 2008

La legge 194 sull'aborto: un falso mito da sfatare.

E’ stato tutto un levar di scudi ed uno stracciar di vesti, degno delle migliori commedie all’italiana ed evocante l’immagine di strillanti e prezzolate prefiche di riti funebri antichi e moderni.
Ma cosa avrà mai detto di così esplosivo, scandaloso od eversivo il Prof. Franco Colombo, stimato ed apprezzato primario del Reparto Ginecologia dell’ospedale cittadino, nella intervista a Libertà del 16 febbraio scorso, che ha suscitato le reazioni scandalizzate delle moderne suffragette, improbabili paladine di un femminismo retrivo e stantio, retaggio di tempi che furono, se non riferire, da operatore attento e preparato, la realtà applicativa della legge 194 sulla cosiddetta IVG (leggasi ‘interruzione volontaria della gravidanza)?
Una realtà che, come si suol dire, sanno anche i bambini.
Soprattutto quelli che, come si potrebbe aggiungere con tristemente macabra facezia, proprio grazie alla legge 194 non hanno potuto vedere la luce.
Fuor di metafora, l’applicazione della legge 194 è, infatti, una vera e propria mattanza, che richiama, mi si scusi la crudezza evocativa, quella delle tonnare siciliane d’un tempo, le "camere della morte" dove, per una singolare analogia, i tonni arrivavano a trovare la morte nella stagione dell'accoppiamento.
In campo abortivo, la cosiddetta autodeterminazione della donna è rivendicata dalle moderne epigone di Kate Millet e Shulamith Firestone né più né meno come il diritto, che vorrebbero sacrosanto, di accettare o meno, a proprio insindacabile arbitrio, come se fosse un qualsiasi fatto privato, la gravidanza e la vita dell’esserino che gli si và formando in seno.
Nient’altro che la fedele applicazione del noto (e trucido) slogan degli anni 60.
‘L’utero è mio, e lo gestisco io’.
Al diavolo la salute della donna e, ancor più, quella dell’inerme ed indifesa creatura che porta in seno, inutili pastoie dialettiche utili solo a far passare la legge tra i bigotti (e, a dir poco, disattenti) cattolici, ed a confondere l’opinione pubblica.
Quello che, solo, conta è l’affermazione rigida, tutta ideologica ed intoccabile come un dogma (che, così come è articolato, è solo un aberrante delirio), che alla donna deve essere riservato il diritto di decidere della vita e della morte del feto, ridotto ad uno stupido ed insignificante grumo di cellulette.
Ciò a dispetto della ragione, e delle stravolgenti prospettive dischiuse dai moderni metodi di indagine diagnostica per immagini (le banali ecografie!) che ce lo hanno fatto vedere, annidato nel grembo materno, muoversi, vivo e vitale, spaventato al cospetto della ventosa meccanica che lo vuole risucchiare; che ci hanno mostrato una creatura che percepisce le voci ed i suoni; che soffre il dolore; che vive le angosce ed i turbamenti della madre.
E’ per questo che la legge 194, una legge ipocrita, che nella ambigua formulazione di alcuni articoli si presta e pone le premesse per l’applicazione distorta ed unilaterale, in senso mortifero, che se ne è fatta e tuttora disinvoltamente se ne fa, con lo scandaloso placet dello Stato, è brandita dalle moderne ideologhe della mostruosa ed intoccabile sovranità della donna, come spada perennemente lorda di sangue, che continua a perpetrare il penoso, erodiano eccidio di innocenti che ogni giorno si consuma sotto i nostri occhi.
Le ASL sono, quindi, come turpi rupi tarpee, come orridi monti Taigete dalla cui cima questa irreale e deturpata immagine di donna continua, a suo arbitrio, a divorare e distruggere i suoi stessi figli, sfracellandoli, con il dono della vita e della speranza che essi racchiudono e ci offrono, sulle rocce ciniche di una insensibile ed inflessibile ideologia.
Con sofferenze profonde che si trascinano nel tempo ben oltre la consumazione del fatto, a partire dalle attese davanti alle squallide pareti dei consultori.
Che il certificato fosse una barzelletta lo sapevamo già, da tempo.
Non c’era certo bisogno che ce lo dicesse, con assoluta ed oggettiva onestà, il primario di un qualsiasi reparto ginecologico degli ospedali italiani; un medico operante nel pieno rispetto della normativa vigente, e che si avvale, anche, dei diritti e della facoltà ivi previste, compresa quella di fare obiezione di coscienza, al quale và tutta la nostra stima e solidarietà.
Oppure, da medici, bisogna essere necessariamente abortisti ed omicidi?
Perché tale è la parola esatta per qualificare l’aborto.
Forse non formalmente, nel senso tecnico-giuridico di cui alle norme vigenti, come, cavillando sui termini e sulle parole, si è di recente ritenuto di dover far notare.
Ma lo è certamente nel suo senso sostanziale, di soppressione di una vita umana, quale (piaccia o no) è anche quella del concepito.
Dalle reazioni all’intervista del Prof. Colombo trapela tutto il dispotismo e l’intolleranza della ideologia, che a chi si permette di pensarla diversamente riserva, quando va bene, l’emarginazione e, qualche volta, il linciaggio morale o mediatico (in tema di omosessualità, si veda il recente caso dello psichiatra cattolico Tonino Cantelmi).
Opponendovisi, poi, con luoghi comuni e vecchi slogan, che sono triti e ritriti stereotipi del femminismo sessantottino, maleodorante di naftalina, che, se avevano una ragion d’essere ed un terreno fertile nell’euforia rivoluzionaria di quei tempi, oggi, alla luce della ragione ed anche della evoluzione delle conoscenze mediche, non possono più reggere.
Non è vero, infatti, come ci si vorrebbe far credere, ed è tutt’altro che dimostrato, che la legge 194 abbia abbassato il numero degli aborti.
Fatto che, se avviene, è probabilmente dovuto ad altre dinamiche.
Per avvalorare una tale tesi si gioca sui numeri, esagerati ed inattendibili, degli aborti clandestini ante ’78 e sulla vergognosa propaganda che se ne è fatta.
Ma, oltre a ciò, smentiscono l’attendibilità di tale tesi la crescita dell’età in cui si cerca un figlio e la sempre maggior infertilità delle coppie; l’incidenza del ricorso alla pillola abortiva, la RU486; l’aumento della contraccezione; la derubricazione a raschiamento e ad aborto spontaneo di interventi a tutti gli effetti abortivi; la denatalità ed il tasso di abortività (costante quando non in crescita) ad esso significativamente correlato; l’ignoranza dell’odierno trend degli aborti clandestini che l’’aborto legale’ può avere sì, in parte, ridotto, ma simmetricamente incentivatone il ricorso in generale e per aborti eugenetici e selettivi.
A ciò si aggiunga l’attività pro-life del volontariato dei Centri per la Vita e di altri.
La legge 194, pertanto, non può essere definita una buona legge, tanto meno alla stregua di presunti, ed indimostrati, buoni esiti della stessa.
E’, anzi, questo, un falso mito da sfatare.
Si vorrebbe, infine, che il tema della vita e della moratoria sull’aborto rimanessero fuori dal dibattito elettorale e non strumentalizzato.
Come, invece, contraddittoriamente fanno proprio le stesse amministratrici che lo invocano, intervenendo sul tema, dopo la pubblicazione dell’intervista del Prof. Colombo, con qualche buon proposito sulla prevenzione, che và incoraggiata, ma anche con una serie di banalità, luoghi comuni e veri e propri errori.
Per esempio la citazione dei fatti di Napoli, notizia che si è rivelata essere una clamorosa montatura, poi ritrattata dagli stessi quotidiani che l’avevano diffusa: parafrasando Shakespeare, tanto clamore, anche nelle successive manifestazioni di piazza, per nulla.
Ma come? Il dibattito sulla vita nascente è tra i più interessanti e coinvolgenti che la società civile ha finalmente affrontato negli ultimi trent’anni, la gente si aspetta di sapere come la pensano, sul punto, i politici che si appresta (ahimé) ad eleggere il 13 e 14 aprile, e di sapere che cosa gli stessi intendano fare su questi temi, ed il tutto dovrebbe essere rimosso e revocato nel silenzio?
Sì, nel silenzio.
Lo stesso a cui si vorrebbe utopicamente ridurre, con le sue pene ed i suoi rimorsi, la coscienza delle donne che da questa società sono state lasciate sole e, di fatto, sbrigativamente costrette ad abortire, non aiutate né sostenute in scelte e prospettive diverse.
Magari perché è stato fatto loro mancare quel minimo di fiducia e di sicurezza di cui avevano bisogno, che so, sulla possibilità di avere poi i soldi per sostenere le spese dell’asilo e per i pannolini.
Al tavolo che si vorrebbe convocare sulla applicazione della legge 194, si tenga, per favore, conto anche di questo.
Si parli, per favore, con verità, della aberrazione della pillola abortiva, della famigerata RU486.
Si invitino i rappresentanti dei farmacisti, e si operi affinché possano avvalersi, anche loro, dell’obiezione di coscienza.
Respingiamo con forza la farisaica consegna del silenzio alla quale una certa politica, di destra o di sinistra che sia, ipocrita, infingarda, opportunista, attenta più alle dinamiche di voto che non ai temi veri della vita, ci vorrebbe relegare.
In una parola, svegliamoci e diamoci da fare.
Non si può, davvero, più tacere, perché della vita di questi innocenti siamo anche tutti noi sempre più responsabili.

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