sabato 27 agosto 2011

Maria






Quando mi ha detto delle sue soste sul sagrato della chiesetta di Denavolo ho avuto la conferma che il mio amico Carlo è, come me, un contemplativo.
Prediletta nei primi pomeriggi primaverili, l’ombra dei suoi muri ne proteggeva le ore di silenzio, di lettura, di meditazione silenziosa.
Le lesene giallo antico ne disegnano la struttura portante, per raggiungerla occorre prendere a sinistra al bivio di Denavolo – Gattavera. Da lì la strada inizia una breve discesa, per rialzarsi a sella dopo qualche centinaio di metri. La vista sulla valle del Trebbia è magnifica. Il greto grigio biancastro dell’alveo contorna il filo azzurro e minutissimo delle acque; attorno salgono i dolci declivi policromi dell’appennino, i versanti dorati dell’ocra dei campi di stoppie messi in risalto dal verde dei pascoli e dal bruno opaco delle arature. Io l’ho percorsa di recente, quella via, in sella alla mia colnago. Una salita mozzafiato, per le mie cosce, che fino a poche settimane fa non avrei avuto il coraggio di affrontare. Mi sono fermato due volte, a riprendere fiato, i battiti nel petto acceleravano troppo nel caldo opprimente.
E’ straordinario salire quelle erte scoscese tra gallerie naturali di alberi e fronde protese. Ogni salita e la sua fatica hanno in sé qualcosa di epico. Cerri e robinie e l’azzurro intenso del cielo vi fanno cornice; la maestà di immense nubi gonfie del loro biancore le sovrasta.
Ora il vento piega le cime secche del mais nel campo sotto la finestra della stanza dove batto queste righe. Se ne ode lo scrocchiante frusciare. Dietro, il triangolo riarso delle zolle rivoltate nella non recente aratura, e lo sbatacchiare sommesso delle imposte scalcagnate sul telaio della vecchia zanzariera. Un mormorio sommesso come lo sciabordare di una invisibile marea. Le ali forti di una tortora percuotono l’aria e consumano in un amen la breve traiettoria arcuata percorsa nello spicchio di cielo che da qui posso vedere, sotto la tapparella, alzata, ma non del tutto.
L’estate si sta consumando, accartocciandosi su se stessa come una foglia secca al fuoco di questo sole ormai vecchio ma sempre possente.
I viaggi e le avventure sono per ora finiti, ma lo sguardo, soprattutto del cuore, si spinge lontano, lontano, oltre la materia qui presente, e vede attraverso i corpi e la materia realtà indescrivibili, che hanno la straordinaria consistenza del desiderio e l’intensità di una vita pienamente vissuta.
Mi consola la certezza di non essere solo.
Di Medugorje e della Madre che lì ha voluto manifestarsi non so cosa mi sia rimasto, non so con quali occhi io possa guardarla né come vederla, né posso capire in base a che cosa io possa rivolgermi a lei né insomma c’è nulla di materiale e di tangibile che possa dare la consapevolezza della sua presenza.
Ma credo che ad una mia domanda di qualche tempo fa sia stata data una risposta: non temere, il tuo cuore mi sa riconoscere.
Per questo, forse, sono la tenerezza e la dolcezza che oggi lo abitano, del tutto irrazionali, che guidano l’intelletto e la ragione a dire sì, è lei, la nostra Madre è qui, è con noi, ci accompagna e ci protegge.

giovedì 2 giugno 2011

Ascesi

Questo è un blog ascetico come la mia capanna sulla cima di un monte, i prati circostanti battuti da raffiche impetuose di maestro, il cielo plumbeo denso degli sviluppi verticali di minacciosi cumulinembi.
Dall’alto posso contemplare nel cielo e nell’aria lo scenario apocalittico della natura, sentire sulla pelle la carezza livida del vento, oppure abbassare lo sguardo alle valli ed intenerirmi al calore lontano della vita domestica tradita dalle lucine tremolanti nella sera.
Gli scorci di questo blog sono poco frequentati, di qui non passa quasi mai nessuno.
Sicché posso liberamente continuare a guardare, a contemplare, a pensare, anche se di quello che dico e penso non interessa nulla a nessuno.
Il cuore dell’uomo è un gigantesco antro buio, fitto di echi ovattati, lambito dalla risacca quieta dell’Eterno.
In esso si profilano trasparenti ed invisibili, fino a confondersi, volti noti e ignoti; i più belli, quando compaiono, sono quelli di Dio, del Suo Figlio, e della Sua Madre, Maria.
Le loro voci senza suono sono un impercettibile movimento del cuore; esse toccano le corde più profonde, ma quali? ma dove mai sono?, dell’essere.
Guardo intorno ed ecco, da segni inequivocabili qualcosa sta succedendo.
Il piccolo nucleo trinitario della famiglia, imago dei, ancora si infiamma e per benefico contagio avvolge tanti cuori, cuori di uomo e di donna, della sua propria incomparabile bellezza.
C’è ancora speranza.
La famiglia uscita dall’Arca della Chiesa dopo l’acre distruzione del diluvio del secolo passato suscita nuovi e travolgenti amori per essa, gli sposi e le spose, la benedizione dei figli.

La famiglia, piccola chiesa domestica luminosa di grazia, sta ormai definitivamente eretta di fronte alle nubi scure di questo secolo che Satana, principe ribelle, sconfitto, non sa più da che parte ormai prendere.

martedì 31 maggio 2011

Zapatero a Milano

Zapatero a Milano.

Mite nei tratti, mansueto il sorriso.

E, dentro, la violenza dell’ostentazione gay, la perversione dei genders, lo spappolamento della maschilità e l’annichilimento della famiglia, nella cruda intransigenza relativista.

Un vero regalo, di che rallegrarsi, per l’ala progressista e dossettiana della Chiesa ambrosiana.

Dietro il trionfo dell’estremismo di sinistra, velato da un volto dal sorriso mite, un popolo borghese che da vero incosciente si crogiola nell’indifferenza, se ne infischia dei valori, e la domenica del ballottaggio ha altro da fare, la gita la partita e che so altro, rischiando di trovarsi un domani forestiero in casa sua.

Quali politici per questo popolo?

Quale politica per questa gente?

Vince la mollezza feroce dell’anticristo di soloveviana memoria, colto, educato, tollerante.

Milano ed il suo Zapatero.

mercoledì 25 maggio 2011

Donne in cerca di marito


Sono molto preoccupato.

Sto subendo una grave involuzione culturale.

Ad essa si associa un patologico abbassamento dei freni inibitori.

Ho visto un mostro.

A seguito di perizia psicologica, il tribunale ha assolto due coniugi dalla accusa di pedofilia o di non so quale altro reato ai danni di un minore.

Il collegio giudicante, si legge nella cronaca cittadina, era interamente composto da donne.

Donne, che quando si incontrano nei corridoi parlano con dolce voce musicale di donna di cose presumo anche femminili, tipo l’arredo di casa le vacanze gli smalti la manicure e, che so, di figli e della loro cura; e un po’ di pettegolezzo.

Donne che vestono da donne, e sotto le camicette indossano pudici reggiseni sui seni che boccucce di neonati hanno stretto a suggere prezioso latte materno; donne che indossano aggraziate gonne, esibiscono polpacci torniti e caviglie fini.

Voglio dire donne con il corpo la voce le movenze e tutta intera la natura di donna, il cui seno ha allattato figli, il cui ventre li ha accolti nella gravidanza, le cui mani li hanno accarezzati coccolati vestiti e nutriti; donne con gli occhi belli di donna, e le belle maniere aggraziate delle donne.

Quelle che per natura accolgono, amano, educano, eppoi si mostrano, esibiscono complici le loro bellezze una volta, tanto tempo fa, per trovar marito e metter su famiglia.

Per avere il dono dei figli, la forza e la sicurezza di un marito.

Esibirsi per dominare con il potere o la carriera che viene dal ricatto sessuale e della bellezza fine a se stessa a che vale? A che serve il dominio se genera solitudine e non senso della vita?

Che dire, insomma, di donne, madri, sorelle, figlie, piene di spirito materno e di grazia femminile, che, come giudici, applicando la legge, con prerogativa affatto maschile hanno invece impersonato e dato voce, come bocche della giustizia, al diritto vivente, alla rigida norma, alla regola astratta?

Non me ne vogliano le donne giudice (quelle di quel collegio, tra l'altro, le conosco e le stimo). Loro non c'entrano, sto parlando di simboli.

Ma questo non è compito naturale e proprio dell’uomo, del maschio, del padre, che nella psiche del bambino ha proprio questa funzione, di dare le regole?

A vedere questo collegio tutto in rosa come si fa a non sorprendersi?

Mi pare fuori luogo, una aberrazione, una cosa mostruosa, come lo è, in sé, il matriarcato che questa testa femminea involontariamente evoca e simboleggia.

Donne leaders, donne che dominano; donne alla testa dell’uomo, che gli dettano le regole, e lo mettono simbolicamente sotto, in un ruolo che non è, per natura, il loro.

Si potranno mai, un giorno, rimettere le cose a posto?

Quando avremo ancora donne pudiche che occhieggiano civette per farsi guardare e prendere da uomini disposti ad inseguirle, corteggiarle, buttarsi ai loro piedi pur di impalmarle in quel matrimonio che suggella per sempre il desiderio di un amore eterno, quello stesso di Cristo per la sua Chiesa che Dio ha voluto racchiudere nella coppia umana, nell’uomo, creato nel corpo maschio e femmina?

Presto. Io spero presto.

E’ ora di riscattare la donna e la sua immagine deturpata dalla prigione di diritti e di falsa emancipazione in cui il demonio, con il femminismo, è riuscito a racchiuderla, distruggendo la famiglia e, in essa, il dono della vita e l’immagine buona di quel Padre severo ma tenero che è Dio.

mercoledì 18 maggio 2011

L'ometto ducetto




E’ piccolo e un po’ tarchiatello, la figura e l’impostazione ricordano vagamente quelle ducesche del famoso ventennio.
Nonostante gli anni, è anche pateticamente affetto da una forma gravemente narcisistica di priapismo dannunziano, un po’ decadente.
Si inventa slanci di bontà ai quali poi aderisce e crede, con l’astuzia di un serpente nascosta sotto la sua pur vera ingenuità di bambino. La stessa per la quale nelle foto ufficiali poteva mettere sorridendo le corna ai capi di stato.
Alieno alla politica, chi può essere così sciocco da farne un modello di vita?
Eppure, quest’ometto ha coraggiosamente messo la firma sotto un decreto, poi respinto dal Capo dello Stato, che avrebbe salvato non solo la vita a una giovane donna, Eluana, ma, contemporaneamente, anche il principio sacrosanto del valore e della inviolabilità della vita umana.
Questo ometto positivo e scherzoso e, sotto certi aspetti, un po’ patetico, forse non è riuscito ad introdurre nel sistema fiscale il principio del quoziente famigliare, né a destinare alle famiglie maggiori e concrete risorse economiche.
Però ci ha salvato da una deriva ideologica che un altro ometto, questo sì moralmente rigoroso e riservato ed anche dall’aspetto pontificale, non solo non avrebbe impedito ma che anzi si era proposto concretamente e programmaticamente di incentivare e sviluppare.
Contro la famiglia.
Dell’ometto – ducetto (nell’aspetto, ma non solo …) la gente un po’ puritana pare essersi un po’ stancata.
Forse.
Così alle amministrative di Milano un rifondarolo può sfiorare il cinquanta per cento dei consensi al primo turno.
Questo rifondarolo ha presentato un progetto per attribuire ai figli il cognome delle madri, dimostrando, così, di non aver capito nulla di famiglia, di ruoli, di educazione, di tradizione; non parliamo di cristianesimo (tanto a chi importa?...).
Lo confesso.
Personalmente, l’avrei votato, l’ometto – ducetto.
Per la prima volta in vita mia, l’avrei votato, perché mi aveva conquistato.
Le sue umiliazioni, il suo essere pubblicamente svergognato, forse anche l’apparente flop elettorale, me lo fanno preferire di gran lunga ai professori della politica, quelli che sembra sempre che la sappiano lunga.
Meglio un poveretto peccatore che ci salva dalle coppie di fatto, dal dilagare dell’omosessualità omologata, dall’io non lo faccio in casa mia ma gli altri devono poter fare quello che vogliono, dalla pietà che toglie di mezzo i pazienti incoscienti, dal sentimentalismo che accetta una immigrazione selvaggia, dal moralismo puritano di chi difende a spada tratta l’aborto, la fecondazione assistita anche eterologa, la criocongelazione degli embrioni in vitro.
Anche se è divorziato e mi sembra sotto tanti profili un poveretto, l’avrei votato, perché è lui che ha permesso che fino ad ora da tutto questo fossimo salvati.
Da adesso in avanti non so cosa succederà.
Gli italiani vogliono un bel professore morigerato e castigato?
L’avevano avuto, e per fortuna se n’è andato.
Forse lo riavranno.
Poi, però, non vengano a lamentarsi, parlo soprattutto ai cattolici, se la diga si romperà definitivamente e tutto quello da cui siamo stati fino ad oggi, in qualche modo, preservati, si realizzerà, magari tutto d’un colpo.
Come politologo non valgo un fico secco.
Però non ho resistito a dire quello che penso.

domenica 15 maggio 2011

A proposito della sottomissione nella ‘Mulieris dignitatem’ – affettuosa lettera aperta al Beato Karol Wojtyla

Carissimo Beato Karol,
ho riletto un passo della tua lettera apostolica ‘Mulieris dignitatem’, e devo dire che su un punto non sono proprio d’accordo con quanto tu scrivi.
O, meglio, credo che quello che tu dici meriti un commento, una precisazione.
Sono consapevole ed attonito della audacia suicida di una tale affermazione, ma credo di potermi rivolgere a te, che ci guardi affettuoso e benevolente dal cielo, accanto alla nostra comune Madre, Maria, come a un padre, con il quale, magari, discutere, per capire.
Esporrò, quindi, il mio pensiero, e sono sicuro che, alla fine, anche tu non potrai che essere d’accordo con me.
A metà circa del capitolo 24 della tua lettera apostolica ‘Mulieris dignitatem’ tu scrivi, parlando della sottomissione reciproca tra i coniugi nel matrimonio, che ‘il marito è detto “capo” della moglie come Cristo è capo della Chiesa, e lo è al fine di dare “se stesso per lei” (Ef. 5, 25) e dare se stesso per lei è dare perfino la propria vita’.
Detto questo, Beato Karol, tu così prosegui: “Ma, mentre nella relazione Cristo – Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito - moglie la ‘sottomissione’ non è unilaterale, bensì reciproca!”.
Ecco, Beato Karol, padre dilettissimo, fratello maggiore nella fede e nello spirito, su questo non sono d’accordo, non mi ritrovo, mi manca qualcosa che la mia esperienza di fede mi ha insegnato ed inscritto nel profondo del mio essere.
Non sono d’accordo sul fatto che nel rapporto Cristo – Chiesa la sottomissione sia solo quella della Chiesa perché, se per il marito la sottomissione si realizza nel dare la vita per la propria moglie, questo Cristo lo ha fatto nella carne, nella sua vita terrena, ma continua concretamente a farlo anche ora, con differenti modalità, per la sua Sposa, la Chiesa, ed i suoi figli.
Quindi anche nelle nozze mistiche dell’Agnello con la Chiesa, la Nuova Gerusalemme, possiamo trovare la stessa reciprocità di sottomissione che troviamo nel matrimonio cristiano, con le differenti modalità che si convengono ai differenti ruoli, il marito rispetto alla moglie, Cristo rispetto alla Chiesa.
Per lei Cristo ancora si sottomette, dando la vita, cioè si fa l’ultimo, si lascia schiacciare ed uccidere per servire, così, la sua Sposa, perché dalla sua morte noi possiamo avere la vita.
Quando Cristo, attraverso la Chiesa, mi perdona, dopo che io l’ho tradito, insultato, magari bestemmiato, offeso nel suo corpo che è la Chiesa, non accetta, forse, ancora di farsi l’ultimo, di servire, di andare in croce perché dalla sua morte noi possiamo avere la vita? E non è questa morte con la quale io lo colpisco, nel suo corpo, nella creazione, nella sua opera (anche quella che sta compiendo in me) una morte vera, che Lui accetta di subire e vivere per me, per amore mio?
La sottomissione della Chiesa, casta meretrix, a Cristo è unilaterale ma, in un certo senso, anche bilaterale, perché postula quella di Cristo che da la vita per la Sua Sposa, la Chiesa, sacrificio immanente ed archetipico, per il quale io, peccatore, posso avere oggi, qui e adesso, la vita.
Guai se Cristo non continuasse, idealmente e simbolicamente ma anche sul piano pratico, dell’esperienza esistenziale, nei fatti della vita, Lui che è Dio, a farsi piccolo di fronte a me, a lasciarsi uccidere da me, dal mio peccato, affinché io, con il pentimento ed il suo perdono, scoprendo la bellezza ed immensità del suo amore e la sua innocenza, possa esserne un po’ per volta, con pazienza e misericordia, liberato, e così scoprire la bellezza di servirlo, rimettendomi, finalmente, alla sua volontà.
L’obbedienza a Cristo è certamente la meta finale della Chiesa, fatta di uomini e perciò peccatrice, e dei suoi figli, a loro volta peccatori, che Dio ha servito e costantemente serve per mezzo del sacrificio del Suo dilettissimo Figlio.
Nella mia vita concreta, nei fatti in cui essa si è sviluppata, ho potuto vedere concretamente realizzata questa Parola; ho potuto vedere prendere corpo l’opera di redenzione di Gesù Cristo che nella mia vita si è fatto piccolo pur di conquistarmi, a me che sono un niente, un nulla, una inezia esistenziale, uno dei miliardi e miliardi di uomini e donne che hanno attraversato la storia.
Quest’opera completa di redenzione, che avrà il suo compimento nella Vita Eterna, è, per me, ben simboleggiata nella Parola dell’Evangelista Giovanni, della lavanda dei piedi (Giov. 13, 4-15).
In essa troviamo Gesù che serve la sua chiesa, simboleggiata dagli apostoli, e, quindi, in un certo senso, che si sottomette a lei nel modo consono al marito, con riferimento al rapporto mistico tra Cristo e la Chiesa, e cioè dando la vita per lei, per me.
Del resto, non ha detto Gesù che “chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20, 27-28)? E: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi … un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica” (Gv 13, 12-14)?
Allora credo che la sottomissione, come è reciproca, ma con modalità differenti in relazione ai loro differenti ruoli, nel rapporto tra il marito e la propria moglie, così lo è, lo deve essere, anche nel rapporto sponsale tra Cristo a la sua Chiesa, in particolare nei connotati che questo assume nel tempo, e negli sviluppi terreni della storia della salvezza.
E, del resto, non s'è detto che "La vita futura e quella matrimoniale appartengono strutturalmente alla medesima categoria ontologica, sono della stessa essenza" (P. Evdokimov, Il matrimonio sacramento dell'amore Magnano, 2008, 77 e ss.)?
E Cristo non si sottomette, cioè non dà concretamente la vita, quando si affida ai suoi piccoli per l’annuncio del kerygma? Non accetta di essere colpito nel suo corpo mistico, e nella sua opera, quando lascia che i suoi piccoli vengano dileggiati, colpiti, perseguitati e magari uccisi in forza dell’annuncio cristiano? Non è, questo, un perpetuarsi del sacrificio di Cristo e del suo servizio per la redenzione dell’uomo?
La reciproca sottomissione di cui tu ci parli, Beato Karol, si attua così, quindi, come per Cristo nei confronti della Chiesa, nel significato sponsale di tale rapporto, così per il marito rispetto alla moglie, con gli stessi caratteri ontologici, ma con modalità diverse in relazione alla distinzione dei rispettivi ruoli, capo e guida, come Cristo, per il marito, accoglienza materna e sostegno, come la Chiesa, per la moglie.
La moglie è infatti chiamata a vedere nel marito il capo, cioè la testa del corpo che è la famiglia, piccola Chiesa domestica, immagine di Dio riflessa e nello stesso tempo presente nel corpo, creato maschio e femmina; ed il marito, come Cristo, è chiamato a dare la vita per la propria moglie.
Sulla concreta declinazione di tali ruoli nella esperienza concreta del matrimonio cristiano e della famiglia sono straordinariamente belle ed efficaci le pagine di Edith Stein, nel suo libro ‘La donna’, al capitolo sulla vocazione dell’uomo e della donna secondo l’ordine della natura e della grazia, alla cui lettura senz’altro rinvìo.
Allora, caro Beato Karol che con gli occhi tuoi severi e benevoli ci guardi dal cielo e sorridi, cosa ne dici, sei d’accordo con me?
Il mio cuore mi dice di sì.

sabato 2 aprile 2011

Gratitudine a Dio


... Devo dire che se, per qualche misterioso prodigio, dovessi ora avere (ancora) una figlia, la chiamerei Fiala di Stibio ...

giovedì 10 marzo 2011

Secondo pensierino: ... a proposito di sottomissione (sempre a proposito di Sposati e sii sottomessa di Costanza Miriano).


… però occorre dire che la sottomissione è atteggiamento che contraddistingue non solo la donna nella matrimonio, ma, in generale, ogni cristiano, maschio o femmina che sia.
La sottomissione è reciproca, il fondamento ultimo ne è l’obbedienza a Dio.
Il cristiano promuove e valorizza l’altro e sta alla sua volontà a prescindere, perché sa che nei fatti e nell’altro, se a Lui ci si affida, opera la Grazia di Dio.
Non solo la donna, come moglie, è chiamata alla sottomissione, ma anche il marito, quando dà la vita per la moglie.
Che, concretamente, vuol dire che ne accetta le richieste, il modo di essere e di pensare, normalmente diametralmente opposto al suo, le aspirazioni, le volontà che essa esprime.
Il collante nel matrimonio è l’amore, che richiede prima di tutto la logica del dono di sé, più che di autoaffermazione personale (che pure, nel dono, si realizza in pienezza), di appartenenza possessiva, di dominio e di soggezione.
Anche se siamo tutti un po’ egoisti 8io molto), il dono di sé preferisce a sé l’altro, sia esso maschio o femmina.
Come dice, così bene, Costanza, lo promuove, lo valorizza.
Allora il problema è quello dei ruoli, se cioè si riconosca che più che di obbedienza in senso militare e gerarchico di una all’altro, o viceversa, si tratta di vedere se ciascuno sia, o meno, disposto a riconoscere all’altro un suo peculiare ruolo, come la dimensione corporea, prima di ogni altra, insegna con immediata evidenza: la donna matrice della vita, l’uomo un po’ selvaggio e cacciatore, le straordinarie ma diverse ricchezze di due spiriti fatti per comporre, insieme, un’unica carne.
Gli sposi che si amano in questa logica del dono, che parte prima di tutto da Dio, pur tirandosi magari, quando occorre, i piatti, si chiedono poi perdono, e gareggiano nello stimarsi e valorizzarsi a vicenda.
Sono disposti a morire ciascuno per l’altro, come Cristo per i peccatori.
Nella nostra società questo inestimabile valore dei ruoli, legati alla sessualità, nel matrimonio e nella famiglia, un po’ resiste ancora, come humus, alle ferree logiche femministe – relativiste, ed è per questo che qualche donna … ‘comunista’, come si legge anche in questo blog, può dichiararsi felicemente sottomessa al marito.
Ma non bisogna dimenticare che questa concezione di matrimonio e famiglia (che le varie ideologie vogliono soffocare …) viene dal giudaismo ed è retaggio, soprattutto, del cristianesimo.
Senza l’esperienza dell’amore di Dio è difficile, forse impossibile, da capire.
Forse è questo che Costanza ci ha voluto dire.
E, comunque, lei ci presenta un modello pratico di vita matrimoniale e cristiana che ciascuno, nella sua libertà, è libero di contestare.
Salvo poi vedere, all’atto pratico, di quale luce brilleranno i suoi occhi …

domenica 6 marzo 2011

Primo pensierino ...

Al solitario navigatore web che dovesse imbattersi in questo piccolo e modesto blog vorrei segnalare il recente libro di Costanza Miriano ‘Sposati e sii sottomessa’, edito per i tipi della Vallecchi (affrettarsi, mi pare sia già difficile da trovare!...).
Un testo fresco e divertente che affronta in modo decisamente anticonformista, rispetto alle ormai pedantissime ed omologate tendenze attuali di ogni discorso sulla donna, temi che certo femminismo ci aveva fatto disperare che potessero essere più trattati, come invece meravigliosamente succede per Costanza, in modo così allegro e spigliato (e, soprattutto, ortodosso) da una donna fiera e felice delle prerogative del suo stato, senza essere in costante e rabbiosa rotta di collisione con l’archetipo del maschio tiranno e prevaricatore e le sue arcigne ipostasi (figura retorica, per l’appunto, che indica la concretizzazione e personificazione, p. es, nei mariti o conviventi di turno, di un concetto astratto).
Un libro senz’altro da leggere, e una bella testimonianza di fede.
Chi volesse, può vedere Costanza dalla Bignardi su La7, comparizione di cui la nostra, nella sua modestia, non cessa, cara!..., ma erroneamente, di dolersi, o interagire con lei sul suo grazioso blog.

... problemi di stile ...


Dopo tanto tempo, ho rivisitato le pagine di questo mio bloggherello.
Ho riletto i miei posts, e mi sono improvvisamente perso nelle anse involute e contorte di periodi interminabili, pieni di incisi, coordinate, subordinate, parentesi, distinguo, divagazioni …
Eppure fin dai tempi ormai remoti dell’apprendimento scolastico sapevo che, per facilitare la lettura e la comprensione, i periodi devono essere il più possibile semplici e brevi.
Andando a rivedere qualche testo di grammatica, mi ha impressionato la quantità di proposizioni coordinate e subordinate che un periodo può teoricamente contenere.
Ma ancor di più la quantità di quelle che io sono riuscito concretamente ad inserire tra punto e punto.
Se potessi, infatti, io di un periodo farei un sol libro, infarcendolo di incisi e divagazioni tali da esaurire lo scibile ed il dicibile sul tema trattato nella proposizione principale.
In stile, quanto a lunghezza, stream of consciousness di Joyciana memoria, tanto per intenderci.
Penso che questo atteggiamento sia un residuo del complesso della ‘tessera del pane’ da cui penso di essere (stato?) afflitto.
Da quell’ingordigia, cioè, che nasce dal contingentamento dei beni alimentari del periodo bellico, per cui uno cerca di arraffarne quanto più può, anche oltre il bisogno, per saziare la sensazione mentale di restarne senza.
Di quella tragica vicenda ho avuto esperienza viva e quasi tattile nei ricordi e racconti di mia madre, del maestro delle elementari, dei miei nonni.
Così, in ogni ambito della mia vita privata e lavorativa, tendo ad ingolfarmi di troppe cose, pensieri, attività, interessi, impegni, attese, aspettative, coordinate e subordinate, per cui sono sempre in ritardo e soffro di ansie e tensioni che mi tengono la mente costantemente impegnata a misurare tempi e risorse disponibili per evitare lo sforamento.
Bisogna, quindi, porre rimedio, e cominciare dalla cosa più semplice.
Cioè, accorciare i periodi.
Per proseguire, magari, con qualcosa anche del resto.