mercoledì 6 novembre 2013

Sulla proposta di istituzione presso il Comune di Piacenza di un registro delle unioni civili

Ho letto con attenzione l’articolo-intervista pubblicato su Il Nuovo Giornale di venerdì 25 ottobre scorso sulla proposta di istituzione, presso il Comune di Piacenza, di un registro delle unioni civili.
Sull’argomento, il Direttivo locale dell’Unione Giuristi Cattolici ha già approvato e diffuso un comunicato stampa, che, in sintesi, definisce l’iniziativa di alcuni consiglieri di maggioranza forzata ed arbitraria, inutile, se non come propaganda ideologica, e contro la famiglia, quella fondata sul matrimonio, l’unica riconosciuta dalla Costituzione.
L’articolo in questione, che in alcuni passaggi merita alcuni chiarimenti, sembra avvalorare tale giudizio.
Innanzitutto pare opportuno chiarire che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010, dichiarando, con argomenti talora discutibili, infondate o inammissibili le questioni poste con i ricorsi, ha principalmente escluso l’assimilabilità delle unioni omosessuali alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna.
La Corte di Cassazione, dal canto suo, sulla scorta della predetta decisione della Consulta, con sentenza n. 4184 del 2012 in una causa che si occupava della richiesta di trascrizione, in Italia, di un matrimonio omosessuale contratto all’estero, respingendo la domanda (sia pure con passaggi argomentativi pure discutibili), ha confermato che non esiste il diritto ad una estensione diretta e tout cour alle unioni omosessuali del trattamento assicurato dalla legge alle coppie coniugate, e che tale –eventuale- estensione deve invece passare, con riguardo a specifiche situazioni, attraverso il vaglio giudiziale (come p. es. è avvenuto per la automatica successione del convivente more uxorio nel contratto locativo).
I virgolettati riportati nell’articolo riguardano, quindi, semplici passaggi argomentativi e supporto di tali conclusioni, e non costituiscono l’oggetto principale delle decisioni citate.
Tornando alla proposta di istituzione del registro delle unione civili, la stessa dovrebbe, nelle intenzioni dei proponenti così come rappresentate dal consigliere Curtoni, facilitare l’accesso delle unioni civili a determinati servizi comunali anche se, a quanto si legge, “si tratta di possibilità di per sé già a disposizione delle coppie di fatto (dall’assegnazione delle case popolari all’accesso agli asili nido per i bambini al riconoscimento del parente prossimo per i servizi sociali)”.
Si ha, così, la conferma che nel nostro Comune le unioni di fatto sono, ci si scusi il bisticcio, di fatto, già in concorrenza con le famiglie regolari quanto all’accesso ad alcuni importanti servizi comunali. Se, in aggiunta, si considera, tra le tante, l’ingiustizia degli svantaggi fiscali e tariffari che già scontano le famiglie regolari, in particolare numerose, rispetto alle convivenze di fatto, ne risulta che, anche in questo caso, è la famiglia ad essere ingiustamente discriminata, come da tempo affermano, dati alla mano, il Forum Famiglie e la Associazione Nazionale Famiglie Numerose, e come bene hanno ricordato i consiglieri comunali Negri e Botti.
L’eventuale istituzione del registro delle unioni civili avrebbe, quindi, semplicemente l’ effetto di potenziare tale ingiusta ed indebita concorrenza.
Modo, questo, ben curioso di sostenere la famiglia tradizionale, secondo l’intento dichiarato dal consigliere Curtoni, a parere del quale, riprendendo il famoso dialogo tra il Card. Martini ed Ignazio Marino (pubblicato dall’editore Einaudi in un volumetto che reca, come eloquente sottotitolo, il seguente: “la chiusura aprioristica della Chiesa e delle religioni, di fronte agli inevitabili cambiamenti legati al progresso della scienza e della tecnica, non è mai stata di grande utilità”), ‘riconoscere le unioni civili è solo favorire le prospettive di stabilità a chi lo desidera’.
Ben pochi, a giudicare dal flop dei registri delle unioni civili, ovunque istituiti.
L’affermazione è, tuttavia, sorprendente se si considera che, oramai, viviamo in un contesto sociale nel quale la stabilità della coppia non è più garantita neppure nel matrimonio, nel quale la stessa pur si fonda su promesse solenni ed un impegno assunto pubblicamente alla fedeltà, alla coabitazione, alla mutua assistenza tra i coniugi.
Neppure le onerose conseguenze patrimoniali che vi sono connesse impediscono, infatti, che il matrimonio sia squassato da ormai frequentissime separazioni e da divorzi, in una prassi giudiziaria che assomiglia sempre più ad una presa d’atto notarile della volontà dei coniugi in crisi, benché il diritto di famiglia, per il rilevante interesse pubblico che coinvolge, non sia materia disponibile per le parti.
Pensare, quindi, che in questo contesto l’intervento pubblico (o l’istituzione di un registro comunale) possa favorire la stabilità della vita di coppia di conviventi more uxorio, legati tra loro solo affettivamente e per definizione refrattari ad assumere, in tale veste, impegni, pare quindi quanto meno ingenuo, e certamente contraddittorio e velleitario. A maggior ragione se si consideri che gli affetti ed i sentimenti, sui quali -soli- si basano le convivenze di fatto, sono materia vaga e soggettiva, inafferrabile, e, come tale, irrilevante per il diritto, essendo incompatibile con la certezza che lo deve contraddistinguere.
E’, poi, ingenuamente erroneo ed illusorio pensare che la famiglia sia una cosa, e le unioni civili un’altra, che non interferisce con la prima.
Al di là delle intenzioni di chi lo propone, infatti, il riconoscimento delle unioni civili sarebbe un fatto tutt’altro che neutro per la famiglia, contro la quale comporterebbe un attacco diretto per la introduzione –di fatto- di un nuovo istituto, para-famigliare e para-matrimoniale, inevitabilmente in concorrenza con la stessa, nonostante l’assenza degli elementi di interesse pubblico che ne contraddistinguono e ne giustificano il fondamentale rilievo per la società.
Circostanza particolarmente evidente nel caso delle unioni omosessuali, per loro natura sterili ed inidonee a surrogare le funzioni educative della famiglia, le cui lobby a tale riconoscimento ambiscono nel tentativo di legittimare, come normale, una pratica della sessualità che pur tuttavia, a partire da Freud, Jung, Lacan, per arrivare ai moderni Anatrella, Nicolosi, ed altri valenti studiosi, rimane invece discussa e problematica, e sovvertire, così, la tradizionale visione, naturalistica, della antropologia umana, che è alla base del nostro ordinamento giuridico.
Su tali premesse, non si può, quindi, che aderire integralmente alla posizione della CEI, opportunamente citata in chiusura dell’articolo in commento, che (pare utile ripeterlo) ritiene la legalizzazione delle coppie di fatto “inaccettabile sul pia­no di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo”. Secondo la Conferenza Episcopale, “quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleteria per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro”  mentre “un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile”.
Argomenti, come si vede, del tutto ragionevoli e non confessionali, aderenti ad una visione che nella legge di natura e nel diritto naturale trova una sicura guida ed oggettivi parametri di giudizio.
Appare, quindi, ancor più auspicabile che avverso l’istituzione del paventato registro, le cui ragioni appaiono ancor più fragili, contraddittorie ed inconsistenti di quanto si potesse pensare, si coalizzi, a maggior ragione, una forte opposizione trasversale di laici e cattolici, di credenti e non credenti, per una società realmente a misura d’uomo e rispettosa della sua dignità.

Piacenza, 27 ottobre 2013.

venerdì 2 agosto 2013

Unione Giuristi Cattolici Italiani
Unione Locale di Piacenza


COMUNICATO STAMPA

Il Consiglio Direttivo della Unione Giuristi Cattolici di Piacenza rileva che il disegno di legge destinato ad introdurre nel nostro Ordinamento la nuova fattispecie del reato di omofobia, che sarà all’esame del Parlamento nei prossimi giorni, avrà verosimilmente l'effetto di impedire nel Paese la libera manifestazione del pensiero e di limitare, sul tema del matrimonio e della famiglia, la libera esplicazione di libertà fondamentali quali quella religiosa e di insegnamento, nonché il diritto dovere dei genitori di educare i figli. Infatti ogni espressione di orientamento contrario a quelli sostenuti dai movimenti gay sugli asseriti diritti fondamentali connessi alla omosessualità ed agli orientamenti sessuali di genere, potrà essere considerata reato e limitare inevitabilmente la funzione educativa che ogni genitore ha il dovere di impartire ai propri figli secondo il proprio credo.
La UGCI di Piacenza condivide le prese di posizione che si sono manifestate, attraverso i mezzi di comunicazione, per evitare le prevedibili gravi conseguenze della applicazione di tale legge nel testo attuale. Invita tutti gli Organismi deputati alla tutela della famiglia a fare fronte comune contro il concreto ed attuale rischio, confermato ed espresso da più parti e da molti autorevoli giuristi, anche laici, di compressione delle libertà fondamentali quali quelle citate e sollecita la introduzione di appropriati interventi correttivi.
I giuristi cattolici di Piacenza sottolineano la grave responsabilità morale del silenzio da parte di tanti che hanno il dovere di pronunciarsi su un tema di tale portata. Per mantenere fede al compito che si sono assunti, individualmente e come associazione, invitano tutti i cittadini, ciascuno secondo le proprie competenze e nei settori nei quali operano, ad una comune azione di difesa, nel nostro ordinamento e nella cultura giuridica italiana, di quei valori etici e di libertà costituzionali, che hanno radice nel diritto naturale e nel cristianesimo.
Piacenza, 2 agosto 2013.

UGCI Piacenza – Il Consiglio Direttivo

martedì 30 luglio 2013

Contro la legge sulla omofobia noi veglieremo


Dove sono gli intrepidi paladini della libertà? Quelli che si strappavano le vesti sulle prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali contro la minaccia alla libertà di stampa perché non potevano pubblicare gli atti (segreti) delle intercettazioni telefoniche nei processi a Silvio Berlusconi?
Ora che, con la proposta di legge sulla omofobia di imminente discussione alla Camera, ad essere minacciata è la libertà di pensiero, l’opinione della superiorità del matrimonio tra un uomo ed una donna rispetto a quello, cosiddetto, omosessuale, e del diritto dei bambini di avere un padre (uomo) ed una madre (donna), e non un ‘genitore A’ ed un ‘genitore B’ dello stesso sesso, ora che stiamo per assistere ad una vera e propria epurazione delle idee e della cultura, attuabile a suon di denunce e condanne penali, nel tentativo di rimuovere qualsiasi giudizio personale ed ogni riserva sulla bontà delle pratiche omosessuali, ora che sta succedendo tutto questo, dove sono finiti i paladini della libertà che, a suon di scioperi e manifestazioni di piazza, tuonavano dalle colonne dei maggiori quotidiani italiani?
Se lo chiede, attonito, tra gli altri, anche il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, dalle pagine del giornale dei vescovi.
Il silenzio stampa che accompagna i progressi di questa legge liberticida è impressionante, e risuona e rimbalza nelle strade deserte delle nostre città, quasi fossero ormai disabitate di anime libere, e sulle mura invisibili della nostra privacy, come il triste eco del disinteresse, se non, addirittura, della connivenza.

Neppure i cattolici più accondiscendenti alle posizioni relativiste fiatano. Quelli che pensano che certe cose io non le faccio, ma non posso impedire agli altri di farle, non si accorgono che gli altri, ben lungi dal ricambiarli, su temi così discussi e non univocamente accolti, vogliono proprio impedire a loro di pensare. Di avere una opinione e, ciò che conta, di tradurla di azione, nella libera espressione del pensiero; nell’insegnamento; nelle pratiche religiose e nella catechesi; nell’educazione dei propri figli. Guai a dire che le pratiche omosessuali sono contro natura, che esprimono un disordine psichico prima che morale, che sono diseducative e che vanno evitate, e che per le coppie omosessuali non ci deve essere spazio né per il matrimonio, né per l’adozione, ed a battersi per questo. Facendolo, infatti, se passa questa legge, si finirà sotto processo, con lo stigma di omofobi. In Francia è in atto una campagna che promuove la delazione, in rete (su internet, per intenderci, sui social network e quant’altro), per segnalare contenuti omofobi. Una vera e propria caccia alle streghe. Ma la ribellione dell’Italia, della eccezione italiana, come qualcuno (forse Giovanni Paolo II) l’aveva felicemente definita, viaggia sul web. Il tam tam dei cattolici e dei laici liberi ed intellettualmente onesti corre sulla rete, su Facebook, sui blog e social network. Tra le tante iniziative, nascono le Sentinelle in Piedi Italia, sulla scorta della esperienza dei Veilleurs francesi, che vegliano, in piedi ed imbavagliati, protestando così contro una proposta di legge ideologica e liberticida che alcuni uomini politici hanno cercato di far passare sulla testa degli ignari cittadini. Oltre ad intervenire ed a sollecitare ovunque una opposizione a questa iniziativa legislativa subdola ed insensata, anche noi, se occorrerà, siamo disponibili a scendere in piazza con i veilleurs nostrani, e ad organizzare veglie di preghiera, perché la felice eccezione italiana possa rimanere tale.

A proposito di omofobia

Prima di parlare di omofobia, e della proposta di legge sulla quale, il 22/7 p.v., inizierà la discussione alla Camera dei Deputati, occorre fare una premessa: non siamo omofobi!
Anche noi riteniamo che la discriminazione in ragione degli orientamenti sessuali sia odiosa, in particolare se attuata con mezzi violenti o con incitamento alla violenza!
A patto, tuttavia, di chiarire che cosa si intenda per discriminazione.
Mi chiedo, infatti, se, come padre, vieto ed impedisco al mio figlio minore di andare a fare i compiti, o in vacanza, a casa del compagno di classe, figlio di madre lesbica, convivente con la compagna, perché ritengo che la pratica volontaria della omosessualità sia espressione di un grave disordine morale e sia, come tale, diseducativa e dannosa per la società, e se traduco queste mie libere e personali convinzioni (o pregiudizi, se così si preferisca chiamarli) in una condotta pratica come quella che ho or ora descritta, realizzo o no una condotta discriminatoria? E sono, quindi, passibile di condanna penale?
E se, come insegnante, somministro nelle mie lezioni gli stessi contenuti sul tema della omosessualità e della distinzione ed orientamento di genere, sollecitando attività di contrasto ad una legislazione di favore al riconoscimento delle coppie di fatto omosessuali, al matrimonio gay ed alla possibilità di adozione da parte di tali coppie, commetto o no il reato di omofobia?
E ancora: se, come ministro del culto (cattolico ma anche mussulmano o di altra confessione religiosa), affermo i medesimi concetti nelle mie prediche, od omelie domenicali, evidenziando il carattere illecito o peccaminoso della omosessualità volontariamente praticata, ritenendola una perversione contraria all’ordine naturale delle cose ed invitando i fedeli, pur nella misericordia verso tutti i peccatori, a contrastare, per il bene comune, l’affermazione di tali modelli comportamentali in ogni possibile sede, sono o no passibile di condanna come omofobo in base alla nuova legge che il Parlamento si appresta a discutere?
Se la risposta a tali quesiti sia negativa, allora occorrerà quanto meno introdurre nel testo unificato della proposta di legge un emendamento, di matrice ampiamente garantista.
In tal senso si auspica si voglia muovere il mondo politico, a tutela del bene comune e di quello che credo sia il comune sentire della stragrande maggioranza degli italiani.
Diversamente, si avrà la conferma della mala fede dei proponenti, e di trovarsi di fronte ad un vero e proprio colpo di mano delle ideologie omosessuali e di gender.
Un conto, infatti, è la discriminazione quando consista in una scelta che introduce odiosi criteri di disuguaglianza (la persona umana ha la stessa dignità, a prescindere dal colore della pelle, dalla cittadinanza e dalla razza di appartenenza); altro discorso, invece, è una scelta che sia indotta da oggettive differenze tra diverse situazioni.
Per esempio quelle relative all’omosessualità ed alla identità di genere (temi che neppure nel mondo scientifico godono di unanime accoglienza e valutazione), ed a quale debba essere la loro relazione con l’etica e la morale ma anche con istituti di rilievo pubblicistico (matrimonio, famiglia, adozione) che, essendo precipuamente finalizzati per loro natura alla procreazione ed alla educazione delle nuove generazioni di cittadini, per tali specifiche ragioni (e non altre) godono del favor del legislatore.
Sulla base di un dato oggettivo di natura, della tradizione e delle personali convinzioni religiose o filosofiche o semplicemente antropologiche, si può infatti ritenere che le pratiche omosessuali, assolutamente libere e lecite nell’ambito privato, siano invece deleterie per la società, in sé ed a maggior ragione se improvvidamente dotate di rilievo pubblicistico.
Mi chiedo se, avendo tali convinzioni, alla luce delle norme che si intendono introdurre, si potrà in futuro tradurle in azione, nella educazione dei figli, nell’insegnamento, nella cura dei fedeli e nella evangelizzazione, nell’azione politica, e non si rischi, invece, l’accusa di omofobia, il processo penale e la conseguente condanna.
Da questo punto di vista, le norme proposte sembrano oltremodo vaghe ed ambigue, suscettibili di ampia strumentalizzazione e di azioni intimidatorie e repressive da parte di certe frange delle lobbies gay, che in più occasioni hanno dimostrato di non disdegnare l’imposizione forzosa e violenta del loro a mio parere discutibile credo.
Con questa proposta di legge è, probabilmente, in gioco una consistente parte della nostra libertà, maggiore di quanto non si pensi; e forse è bene non limitarsi a stare a guardare.
In Francia, per esempio, se ne sono accorti, e ne stanno facendo le spese.

sabato 29 giugno 2013

Unioni civili, Gay Pride e dintorni

Di rientro dalla Terra Santa, dopo dieci giorni di assenza, mi accorgo di non sapere cosa sia successo, nel frattempo, in Italia.
Il custode mi consegna un pacco di giornali che nemmeno riesco a sfogliare.
Apprendo del Gay Pride di Palermo, e degli interventi pro genders e coppie di fatto del Presidente della Camera e della ormai ex ministro Idem.
Il riferimento all’Onorevole Boldrini mi fa venire in mente la recente presentazione del Festival del Diritto (di cui la stessa sarà ospite) da parte del Prof. Stefano Rodotà, un evento di cui si protesta l’equilibrio partecipativo e culturale (sottinteso: anche in favore dei cattolici e della loro cultura).
Sorrido. Qualche cattolico al Festival, in effetti, s’è visto, anche se selezionato con cura per le idee, normalmente piuttosto libere e poco inclini al rispetto degli angusti recinti dell’area di valori cosiddetti ‘non negoziabili’. E se si pensa, almeno a quanto anticipato dal Prof. Rodotà (di cui sono note le posizioni), che, quest’anno, accanto a lui, il clou delle presenze sarà costituito, oltrecché dal Presidente della Camera, da Gustavo Zagrebelskj, Presidente emerito della Corte Costituzionale, autore, tra l’altro, di ‘Contro l’etica della verità’, volumetto contro la Chiesa Cattolica e quella che l’autore definisce la sua ideologia, se si pensa a tutto ciò, dicevo, ci si può fare un’idea più realistica di quale contraddittorio sia praticato al Festival del Diritto.
A quanto mi si dice, in Consiglio Comunale, nel frattempo, ci si prepara a discutere la proposta di dotare l’Ente di un registro delle unioni civili, registro tanto dannoso sul piano simbolico, quanto estraneo ai compiti dell’ente locale ed inutile sotto il profilo pratico in funzione dei pretesi diritti che vorrebbe tutelare.
In tutti questi casi, si riscontra un comune denominatore, costituito dalla propaganda ideologica tesa ad accreditare l’idea che l’uomo e la sua antropologia, anche sul piano della vita sessuale e famigliare, dipendono e sono determinati non dalla natura, ma dalla cultura, figlia della illuministica dea ragione.
Una sciocchezza enorme, per la quale ormai da tempo è in atto in Europa una potente ed intollerante offensiva, il cui obbiettivo dichiarato (ed anche realizzato, magari a forza ed inibendo il dissenso, come in Francia) è il riconoscimento delle coppie e dei matrimoni gay.
Ma il fine indiretto, non dichiarato ma evidente, è invece la distruzione, prima di tutto sotto il profilo culturale, del matrimonio e della famiglia.
Di quella società naturale, cioè, formata da uomo e donna, che è imago Dei, immagine di Dio, e vera fucina della persona, che viene così ad essere negata ai nuovi nati.
Si tratta di qualcosa di atroce, di una ribellione radicale e viscerale, che forse non ha precedenti nella storia, dell’uomo a Dio, di cui si vuole cancellare ogni immagine, come un tempo quella del popolo eletto, quello ebreo.
L’assedio ideologico si è fatto asfissiante.
Nell’apostasia dell’Occidente, preda dell’individualismo e della mancanza di valori di riferimento, anche la nostra società si sfalda progressivamente.
Attorno a noi, dappertutto, macerie e distruzione.