lunedì 29 settembre 2008

Davide e Golia


“Davide disse a Saul: «Nessuno si perda d'animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a batterti con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d'armi fin dalla sua giovinezza». Ma Davide disse a Saul: «Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge. Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la preda dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l'afferravo per le mascelle, l'abbattevo e lo uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l'orso. Codesto Filisteo non circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha insultato le schiere del Dio vivente». Davide aggiunse: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell'orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Ebbene và e il Signore sia con te». Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e gli fece indossare la corazza. Poi Davide cinse la spada di lui sopra l'armatura, ma cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato. Allora Davide disse a Saul: «Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato». E Davide se ne liberò.
Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nel suo sacco da pastore che gli serviva da bisaccia; prese ancora in mano la fionda e mosse verso il Filisteo.
Il Filisteo avanzava passo passo, avvicinandosi a Davide, mentre il suo scudiero lo precedeva. Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell'aspetto. Il Filisteo gridò verso Davide: «Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?». E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dei. Poi il Filisteo gridò a Davide: «Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche». Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l'asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d'Israele, che tu hai insultato. In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e staccherò la testa dal tuo corpo e getterò i cadaveri dell'esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele. Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva per mezzo della spada o della lancia, perché il Signore è arbitro della lotta e vi metterà certo nelle nostre mani». Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse prontamente al luogo del combattimento incontro al Filisteo. Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s'infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra e lo colpì e uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga”
(1 Sam., 17, 32 – 51).

Giù il sipario sul festival del laicismo

Non ho partecipato al Festival del Diritto che si è tenuto a Piacenza dal 25 al 28/9 scorsi, e quindi non posso esprimermi sugli specifici contenuti di ogni singolo focus.

Penso, tuttavia, che difficilmente il Festival avrebbe potuto essere una cosa diversa da quella che si preannunciava dal suo programma, nel quale si nota, in primo luogo, la totale assenza della posizione della cultura giuridica cattolica, evitando accuratamente ogni riferimento ai relativi contenuti, compreso il diritto naturale (se non per negarlo).

A giudicare dai resoconti giornalistici, in effetti, mi pare che, per esempio, nessuno abbia potuto spiegare al numeroso pubblico intervenuto il fondamento della concezione di famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio, recepita dalla nostra costituzione; né il punto di vista dei cristiani sulle questioni del fine-vita legate al testamento biologico ed alla eutanasia, emergendo, al contrario, chiare indicazioni di senso opposto.

Oltre alle quanto meno opinabili opinioni della sociologa Saraceno in tema di ‘nuove famiglie’, basti pensare alla concezione di uomo e di natura umana che il quotidiano Libertà di oggi 29/9 attribuisce a Remo Bodei: “Non c’è più l’anima immortale. Si passa dall’eterno al caduco. Ciascuno di noi è ignoto a se stesso. Non riusciamo mai ad afferrare il centro della nostra identità”, nella quale, come credente, non mi ritrovo affatto, e che non è controbilanciata da visioni della vita e dell’uomo meno material-meccanicistiche.

Se il Festival fosse stato veramente aperto a tutte le posizioni e impostazioni culturali, in primis a quella cattolica che, mi pare, in Italia non sia propriamente minoritaria, penso a cosa, sugli scottanti temi etici, ci avrebbero potuto dire personalità del calibro, per esempio, tra i tanti che si potrebbero citare, di Francesco D’Agostino, di Mons. Elio Sgreccia o Mons. Rino Fisichella, o del Prof. Adriano Pessina.

Personaggi evidentemente ritenuti troppo rappresentativi, di cui si è quindi accuratamente voluto evitare la presenza.

Il messaggio del Festival, a giudicare dai resoconti giornalistici, pare quindi essere esattamente quello che si poteva prevedere: e cioè la promozione e la diffusione tra la gente, sostanzialmente a senso unico e senza reale contraddittorio, di una cultura giuridica (ma non solo) libertaria e laicista.

Una colossale operazione di marketing ‘culturale’, finalizzata a conquistare ed, evidentemente, orientare l’opinione pubblica, confondendola prima con la promessa di un evento pluralista e partecipativo, quale la kermesse piacentina curata dal Prof. Rodotà e dall'editore Laterza non è certamente stata; ed ammaliandola poi con una macchina organizzativa degna di quello che, una volta, era per antonomasia l’unico e vero Festival.

Quello, della canzone, di Sanremo.

mercoledì 24 settembre 2008

Perché non assisterò al Festival del Diritto

Credo che, forse, non assisterò ad alcun focus dell’imminente Festival del Diritto.

Principalmente per una improvvisa e verticale caduta d’interesse, alla quale non so –né voglio- reagire, che, pur non essendo mai stato tanto convinto (il nome di Rodotà essendo vago presagio del sopravvenire di dense nubi ideologiche sull’orizzonte della manifestazione) della bontà e genuinità del prodotto che ci si voleva propinare, ho subito avvertito quando al decantato spessore culturale dell’evento si è sostituita la cruda consapevolezza di cosa il Festival, in realtà, sia: una operazione culturale non trasparente ed ideologicamente orientata contro i valori cristiani e contro la Chiesa per far rivivere i propositi e le istanze etiche progressiste della passata legislatura.

Ho la presunzione di sapere cosa certi relatori verranno a dire, e, non sentendone il dovere, non ho nessuna voglia di ascoltarli, per rivivere turbolenze e ribollimenti interiori già gratamente tramontati con la caduta del governo Prodi, né di assistere e tantomeno sostenere tanto accaniti quanto inutili dibattiti.

Su certi valori credo non si possa discutere, né da destra né da sinistra.

Per cui: chi ha voglia, vada.

E se dalla nostra polemica, sgradevole ma pur necessaria, come è stato detto, scaturisse qualche buon frutto di … ‘conversione’, ben venga anche il Festival!

Ma dalle premesse pare lecito (e ragionevole) dubitarne.

lunedì 22 settembre 2008

I primi frutti del Festival


Tratto dal sito internet del Consiglio Nazionale del Notariato (http://www.notariato.it/), sezione “attualità”, nella parte dedicata alla partecipazione del notariato al Festival del Diritto di Piacenza (tema assegnato, il testamento biologico): “L’ordinamento riconosce oggi al malato il diritto a un consenso/dissenso pienamente e compiutamente informato. Il malato è arbitro e giudice del suo status: ha il diritto di accedere ai trattamenti terapeutici e di conoscerne scopo ed esito; ha il diritto di godere dei trattamenti di sostentamento vitale e, se cosciente, ha anche il diritto di rifiutarli”.

Fin qui, tutto sostanzialmente normale.

Ma poi l’autore della scheda retoricamente si chiede: “E il malato non capace? Quali diritti ha il malato terminale e quello non capace? Il suo fine-vita ha diritto alla dignità di umano o, proprio per il suo stato, ha perso ogni diritto di autodeterminarsi?”, dove la perdita del diritto di autodeterminarsi è contrapposta, come sua negazione, alla ‘dignità di umano’.

Se è così, secondo l'autore della scheda tutti coloro che sono, per esempio, in coma o in stato vegetativo permanente (e che, quindi, per tale ragione non sono evidentemente in grado di autodeterminarsi), non hanno più, per tutta la durata di tale stato, la ‘dignità di umano’.

Ergo (l’autore non lo scrive, ma ce lo suggerisce, ce lo lascia, con delicatezza, suggestivamente capire), per conservare la ‘dignità di umano’, soccorre evidentemente il testamento biologico, con il quale i soggetti dovrebbero poter disporre anticipatamente e liberamente della loro salute e dell’eventuale rifiuto delle cure.

Preferibilmente, anche in senso e con scopo eutanasico: è forse questo che, con espressioni tanto suadenti quanto efferate nella sostanza, ci si vorrebbe far garbatamente intendere?

A giudicare da queste brevi note tratte dal suo sito internet, l'Istituzione rappresentativa del notariato pare perfettamente allineata allo spirito (laicista) del Festival.

Un evento nel quale il responsabile scientifico Stefano Rodotà, salutando la sentenza di condanna a morte di Eluana Englaro come onorevole per chi l’ha pronunciata, può affermare che il diritto ‘non può divenire uno strumento autoritario per imporre valori non condivisi’.

Aspettando una spiegazione del significato di tale, invero oscura, espressione (alquanto strana, in bocca ad un giurista), constatiamo che il Festival del Diritto ha già prodotto i suoi primi frutti.


Avvelenati.

A proposito di Festival del Diritto


Nonostante che fosse stata loro spontaneamente sollecitata e richiesta dagli stessi organizzatori negli incontri ‘partecipativi’ tenuti nei mesi di maggio e giugno scorsi, la proposta dei giuristi cattolici piacentini di inserire nel programma del Festival del Diritto un intervento sul testamento biologico, o su altri temi attinenti la vita (proprio quelli che ispirano l’evento), del loro presidente nazionale Prof. Francesco D’Agostino non è stata evidentemente apprezzata ed è stata, con pretesti, respinta.

La nostra città ha così perso una importante occasione di incontrare una personalità di assoluto spessore a livello internazionale, e di ascoltarne la voce, unanimemente apprezzata e riconosciuta come espressiva ai massimi livelli della cultura filosofico - giuridica cattolica.

Per altro verso, i meccanismi ‘partecipativi’ attivati dal Comune di Piacenza si sono rivelati, perlomeno per quanto concerne i giuristi cattolici, una farsa.

Ma, a parte il fastidio di un lavoro inutile (e dell’inutile disturbo del Prof. D’Agostino, al quale, con l’occasione, Piacenza ha presentato un biglietto da visita forse un po’ sbiadito e sgualcito), lo strano (ed invero infelice) esordio evoca inevitabilmente il dubbio di che cosa il Festival realmente sia, o voglia essere.

Dubbio, tuttavia, immediatamente fugato dalla semplice lettura del programma definitivo del festival, presentato in questi giorni a Milano e consultabile sul sito internet del Comune.

Come la direzione scientifica affidata singolarmente al Prof. Rodotà (che sui temi etici è notoriamente schierato su posizioni ‘progressiste’) faceva, infatti, nello stesso tempo temere ed intendere, l’impostazione del Festival e le tesi di fondo che ivi si intendono svolgere e sostenere, agevolmente rintracciabili nel programma, paiono ricalcarne in modo puntuale gli orientamenti.

Domande ad effetto come: “Possiamo rifiutare le cure e morire dignitosamente? Può la regola giuridica sottrarre il governo della vita ai diretti interessati, sottrarsi alla loro libera volontà?”, per come sono formulate e per la qualità degli aggettivi usati, contengono infatti in sé le risposte, emotivamente conformi alle tendenze più libertarie ed individualistiche fino al capriccio delle moderne ideologie relativistiche.

Il programma riporta evidenti echi di non lontani dibattiti sui temi etici, p. es. in tema di fecondazione assistita, di famiglia e coppie di fatto, di eutanasia, laddove si legge che “cercando di rispondere a questo interrogativo scopriamo virtù e limiti del diritto, che non può divenire uno strumento autoritario per imporre valori non condivisi. Deve mettersi umilmente a disposizione di tutti, per consentire a ciascuno di sviluppare liberamente la propria personalità, come vuole l’art. 2 della Costituzione”.

Ma, ciò che anche colpisce, in diversi passaggi del programma risuona l’atteggiamento polemico ed insofferente della cultura laicista nei confronti della Chiesa, della quale la prima a più riprese ha contestato l’ingerenza (sovviene, in proposito, la posizione del Prof. Rodotà riguardo all’invito del Santo Padre alla università la Sapienza, ritenuto ‘inopportuno’).

Nell’occhiello del titolo dell’intervento di Chiara Saraceno previsto per venerdì 26/9 sul tema “le nuove famiglie”, dopo aver arbitrariamente dato per scontata la ormai acquisita pluralità dei modelli famigliari, si afferma, infatti, che ciò sarebbe avvenuto “non perché si è ampliata la conoscenza della ‘natura’, ma perché più soggetti sono entrati nella negoziazione di ciò che fa una famiglia, riducendo il potere dello Stato e delle Chiese”, dove il plurale “chiese” non riesce (né, forse, più di tanto vuole) camuffare il riferimento all’insegnamento della Chiesa Cattolica in tema di matrimonio e di famiglia e la censura di oscurantismo ed arretratezza che l’ideologia laicista, in proposito, le muove.

Giovedì 25, è prevista la proiezione “Le nuove famiglie: un cammino interrotto”, viaggio (che si profila nostalgico…), nella vicenda dei DICO a cura de L’A.T.OMO., cioè la Libera Associazione Tematiche Omosessuali di Piacenza che, scopriamo con sorpresa, ha potuto trovare (con altre associazioni locali) nel Festival quello spazio che è stato negato ai giuristi cattolici ed al Prof. D’Agostino, nonostante che quello stesso tema fosse già trattato da altri.

Tanta attenzione alle ‘nuove famiglie’, quindi, ma nessun intervento che riguardi la famiglia in senso tradizionale, quella tramandataci dalla tradizione cristiana, l’unica riconosciuta e regolata dalla Costituzione, in difesa ed a riguardo della quale nel programma del Festival non si spende neppure una parola.

Significativa, infine, è la concezione di uomo e di natura umana che si profila come oggetto e tema dell’intervento conclusivo del festival, affidato a Remo Bodei, “La costruzione dell’identità”.

In esso si afferma che l’identità individuale si costruisce su basi naturali e storiche, “verso un futuro ignoto … sullo sfondo della dimensione collettiva (da cui si riceve e a cui si dona senso) e nell’intreccio, spesso conflittuale, con sistemi di regole che siamo chiamati a condividere”.

Nonostante la presenza, tra gli organizzatori, della Università Cattolica e l’invocato aiuto (nella presentazione del Prof. Rodotà) anche dei teologi, non si trova nel programma neppure un accenno a Dio ed al Trascendente ed ai suoi riflessi sulle relazioni sociali, al diritto naturale, né, in tale prospettiva, al bene comune, in una concezione materialistica della vita e della dimensione umana che rispecchia fedelmente i dogmi e gli assiomi dell’odierno laicismo, di cui pare costituire il manifesto.

Questi il prologo ed il programma del festival, che, onestamente, dietro la parvenza di un confronto, assomiglia di più ad una operazione pubblicitaria e di promozione, sul piano culturale e giuridico, dei valori di una cultura libertaria e dei diritti individuali che, usando un termine corrente, possiamo definire ‘progressista’, contraria alla morale cristiana ed all’insegnamento della Chiesa sui valori non negoziabili (p. es. vita, famiglia, sessualità).

Il tutto, purtroppo, grazie alla deleteria complicità, a livello politico, di certo cattolicesimo ‘adulto’, che ci costringe a subire iniziative legislative, di cui non di rado è anche convinto fautore, per il riconoscimento delle coppie di fatto anche omosessuali; di favore al testamento biologico (la cui trattazione è delegata, nell’ambito del festival, al Consiglio Nazionale del Notariato, quasi che il problema fosse non in primo luogo morale ma solo di tecnica giuridica) in senso eutanasico; di riconoscimento della moltiplicazione dei generi e della libera scelta individuale della identità sessuale a prescindere dal dato naturale; dell’ammissibilità del ricorso libero alla fecondazione assistita e del diritto assoluto al figlio, ed al figlio sano; dove, come ha fatto il Prof. Rodotà, si accoglie la sentenza della Corte di Cassazione che autorizza l’uccisione di Eluana Englaro come la migliore possibile ed onorevole per la magistratura che l’ha pronunciata, e via discorrendo.

Dalle premesse, l’operazione culturale del Festival appare, quindi, non trasparente, pregna di messaggi più o meno nascosti, pilotati con cura ed in senso unidirezionale.

Per certi aspetti, sembra di assistere a certe trasmissioni televisive di parte, costruite ad arte, dove una parte degli invitati gioca, con linguaggio calcistico, fuori casa ed in un campo denso di trabocchetti e tranelli.

Come pare avvenire per i cattolici (quelli veri, non ‘adulti’) al Festival del Diritto.

Di questo crediamo sia bene essere avvisati, perché chi lo voglia possa partecipare all’evento con adeguato spirito critico.