lunedì 22 settembre 2008

I primi frutti del Festival


Tratto dal sito internet del Consiglio Nazionale del Notariato (http://www.notariato.it/), sezione “attualità”, nella parte dedicata alla partecipazione del notariato al Festival del Diritto di Piacenza (tema assegnato, il testamento biologico): “L’ordinamento riconosce oggi al malato il diritto a un consenso/dissenso pienamente e compiutamente informato. Il malato è arbitro e giudice del suo status: ha il diritto di accedere ai trattamenti terapeutici e di conoscerne scopo ed esito; ha il diritto di godere dei trattamenti di sostentamento vitale e, se cosciente, ha anche il diritto di rifiutarli”.

Fin qui, tutto sostanzialmente normale.

Ma poi l’autore della scheda retoricamente si chiede: “E il malato non capace? Quali diritti ha il malato terminale e quello non capace? Il suo fine-vita ha diritto alla dignità di umano o, proprio per il suo stato, ha perso ogni diritto di autodeterminarsi?”, dove la perdita del diritto di autodeterminarsi è contrapposta, come sua negazione, alla ‘dignità di umano’.

Se è così, secondo l'autore della scheda tutti coloro che sono, per esempio, in coma o in stato vegetativo permanente (e che, quindi, per tale ragione non sono evidentemente in grado di autodeterminarsi), non hanno più, per tutta la durata di tale stato, la ‘dignità di umano’.

Ergo (l’autore non lo scrive, ma ce lo suggerisce, ce lo lascia, con delicatezza, suggestivamente capire), per conservare la ‘dignità di umano’, soccorre evidentemente il testamento biologico, con il quale i soggetti dovrebbero poter disporre anticipatamente e liberamente della loro salute e dell’eventuale rifiuto delle cure.

Preferibilmente, anche in senso e con scopo eutanasico: è forse questo che, con espressioni tanto suadenti quanto efferate nella sostanza, ci si vorrebbe far garbatamente intendere?

A giudicare da queste brevi note tratte dal suo sito internet, l'Istituzione rappresentativa del notariato pare perfettamente allineata allo spirito (laicista) del Festival.

Un evento nel quale il responsabile scientifico Stefano Rodotà, salutando la sentenza di condanna a morte di Eluana Englaro come onorevole per chi l’ha pronunciata, può affermare che il diritto ‘non può divenire uno strumento autoritario per imporre valori non condivisi’.

Aspettando una spiegazione del significato di tale, invero oscura, espressione (alquanto strana, in bocca ad un giurista), constatiamo che il Festival del Diritto ha già prodotto i suoi primi frutti.


Avvelenati.

Nessun commento: