domenica 16 luglio 2017

PENSIERINI MATRIMONIALI ESTIVI


 Il problema è che non ho voglia di scrivere nulla, di condividere nulla, di comunicare con nessuno. Sono quella perniciosa voragine di cui parlava Dante Alighieri nel Monàrchia, semper ingurgitans et nihil refudens? È giusto questo? Devo lasciarmi trasportare da questa corrente di abbandono, sprofondarmi in questa inerzia accidiosa?
Francamente non so che risposta dare. Si affaccia come una tentazione il pensiero che sia finita un’epoca. Ma più forte e prepotente è il senso dell’amore di Dio, della sua Provvidenza. Della divina pianificazione del bene da svolgere. Il Signore chiama. Il Signore mi chiama. Questa è la prova che sono vivo. L’amore è qualità e sostanza unicamente divina, che può attraversare la nostra vita, di cui noi possiamo essere dei semplici ripetitori. Anche se inerti. È lui che opera.
In fondo il problema della società dei nostri giorni è ancora quello del Paradiso terrestre, dell’Eden, dei nostri progenitori Adamo ed Eva. Credere o meno che Dio possa bastare. Se si insinua il pensiero che Dio può non essere sufficiente a dare pienezza alla nostra vita, si aprono le porte, si pongono le premesse alla tentazione, come un piano inclinato e scivoloso, viscido, verso la concupiscenza. La superbia della vita, la concupiscenza degli occhi e della carne. In fondo il punto centrale, esistenziale, su cui si gioca la realizzazione delle nostre vite, è la dimensione oblativa o, in alternativa, individualistica che le dirige. La scelta è la nostra.
L’uomo è sempre lo stesso. Dalla creazione ad oggi, è sempre lo stesso.
È fondamentale capire quale sia l’asse fondamentale su cui girano le nostre esistenze. La posizione individualistica assomiglia, in fondo, anzi, è uguale, a quella infantile. Il poppante, il bambino, e residuamente anche l’adolescente, crede di essere il centro del mondo. In una identificazione inizialmente totale con la madre crede che tutto gli sia dovuto, è gravido di aspettative, desideroso di riconoscimento e di segni di affetto che gli comunichino e dimostrino il suo valore come creatura. Questo riconoscimento, che getta le fondamenta per la costruzione della personalità, la serenità, la fiducia in se stesso e la sicurezza interiore dell’adulto, andando avanti nella vita, diventando adulti, rischia di diventare una pretesa verso tutto e verso tutti, se non vi sarà stata una adeguata azione paterna e, in generale, educativa al mondo delle regole e dei doveri. Il mondo materno, di soddisfazione del piacere, rischia di diventare un circolo vizioso e velenoso, fonte di infelicità, condannando chi vi è prigioniero a cercare continuamente la soddisfazione dei piacere ed a dare tutto a se stesso.
Il problema del matrimonio moderno è, alla base, proprio questo. La concezione romantica, basata sull’affetto e sul sentimento, si potrebbe anzi dire il sentimentalismo, che viene confuso con l’amore. Un qualcosa che si pensa sia imprescindibile e che si debba pretendere per la propria desiderata felicità ed il proprio benessere. Illusoriamente. Alle volte l’amore e la fedeltà coniugale passano attraverso lunghi ed aridi deserti affettivi. Nell’amore nuziale c’è, certamente, anche l’affetto ed il sentimento, ma prima di tutto c’è una dimensione oblativa e una alleanza, alla quale si è chiamati a tenere fede. Nella tradizione cristiana, le Sacre Scritture si articolano su due fondamentali colonne, l’Antico ed il Nuovo Testamento. L’Antica e la Nuova Alleanza, suggellata da Cristo sulla croce e con la sua resurrezione.
Il matrimonio nella sua essenza più profonda, rivelata dal linguaggio del corpo, è la donazione reciproca degli sposi, l’uno all’altra. Una donazione a termine, revocabile, è una contraddizione in termini. Una violazione del patto di fedeltà reciproca. Il modello di donazione, però, non è quello umano che è interessato ad un contraccambio e in certi casi revocabile. Il modello di donazione è quello divino, suggellato da Gesù Cristo sulla Santa Croce. La morte e la resurrezione di Cristo sono testimonianza della irrevocabilità dell’Amore di Dio sancito nella Nuova Alleanza. Un mistero grande, dice San Paolo, con riferimento a Cristo ed alla Chiesa.
Ogni realtà umana non può essere davvero compresa appieno se si escludono Dio e la sua opera. Così il matrimonio, che supera l’istinto animale, sessuale, riproduttivo, per uniformarlo al modello dell’Amore di Dio e delle Nozze di Cristo con la sua Chiesa. La similitudine nuziale attraversa la Sacra Scrittura fin dalle origini. Sono le Nozze dell’Agnello che danno senso ed una direzione all’amore, in particolare sponsale, umano.
Che questa verità possa essere negata o negletta è un mistero, perché tutto il nostro essere interiore, nel profondo, esprime proprio questo incessante anelito.
Senza la prospettiva divina, il matrimonio resta parzialmente incomprensibile, come è, infatti, umanamente incomprensibile che due coniugi che non si sopportano più non possano separarsi e divorziare. Senza la Grazia di Dio è molto difficile (per non dire impossibile), in queste condizioni, resistere insieme. Ma separarsi porta dolori e danni ai coniugi ma, soprattutto, ai figli, espressione concreta ed irrevocabile dello loro intima e non revocabile unità.
Quindi la realtà del matrimonio, nel linguaggio del corpo, porta a Dio. Per altro verso, è la espressione più alta della fedeltà e del rispetto degli impegni presi. Perché, come è per diritto naturale, pacta sunt servanda. La separazione (salvi alcuni casi dove essa è provvisoriamente ammessa) ed il divorzio sono quindi una grave ingiustizia, una violazione dei doveri di lealtà e di fedeltà, e la lesione dell’affidamento del prossimo ad una promessa pubblica e solenne. Una società che non capisce più questo ed anzi che, con le sue leggi ed i suoi tribunali, lo legittima, è una società che non solo ha  abbandonato la fede, ma che incrina i rapporti di fiducia e di vera solidarietà tra i suoi membri, ferisce i più piccoli e, in una parola, si autodistrugge. Lo avevano capito anche gli antichi romani, quando posero mani a leggi che limitassero i divorzi. Allo stesso modo le società del Nord Europa (p. es. la Danimarca).
Trattare il matrimonio e la famiglia come una realtà disponibile anche nella sua definizione linguistica, inoltre, implica una vera e propria falsificazione della logica e del linguaggio. La costruzione di una realtà sociale malata ed artefatta, dalla quale non potranno che conseguire inganni, danni e sofferenza alle persone, soprattutto alle più indifese, ed a se stessa.

lunedì 15 agosto 2016

Noterelle estive con Jung, Houellebeq, ed altro ...



In campagna, il marrone cupo e bituminoso dei campi arati va gradualmente sostituendo l’ocra delle stoppie. Il cielo lo sovrasta a tutto campo, ora blu di cobalto, ora azzurrognolo e slavato dalla foschia. Nugoli di tortore decollano improvvise con potente frullare di ali e si spargono a macchia punteggiata ed ondeggiante nell’aria. Come questi voli inaspettati, così moti di gioia spontanea scaturiscono dal cuore e si irradiano nel petto. La gratitudine per il creato si riversa dal cuore e si espande come olio sulla totalità dell’essere. Vivo intensamente di una vita rinata, benedetta, creata. La Vita dello Sposo traspare e traluce da ogni dove e sprizza da ogni più angusto anfratto del mondo visibile e di quello interiore, attraversati da potenti afflati e respiri di aria nuova, pulita, vitale. Respiro a pieni polmoni la Vita ed anche il cuore se ne riempie. L’estate, intanto, si consuma lentamente, affonda nelle zolle scure e rivoltate di fresco. L’aria più pungente rende ogni cosa più facile e bella, e la lode al Creatore docilmente vi si armonizza. Riguardo a perdita d’occhio l’ampio orizzonte e ristò, l’orecchio attento al silenzio, godo del moto d’amore immoto che come zefiro leggero vibra adesso tra le foglie delle acacie e delle magnolie. Nulla poterono, questa volta, le letture straordinariamente cupe, pregne di cinismo e violenza, di Michel Houellebeq, il sesso malato ed il male in esse descritto, ritratto asciutto, crudele e fedele dell’uomo dei nostri giorni, lontano da Dio. Un impasto, talora accuratamente occultato, di impulsi animaleschi e di passioni, ai quali una psiche distrutta e senza meta si attorciglia, senza poterne cogliere alcun senso, com'erba rampicante e maligna. Terre di nessuno abitate dal Male assoluto, fine ultimo di se stesso. Senza l’alimento della religione, e dei valori morali, la vita dello spirito viene meno e così l’uomo, ridotto a bestia violenta, perversa, prevaricatrice. Invece di stupidamente prescinderne, lo Stato laico dovrebbe, intelligentemente, senza escludere le altre, favorire, privilegiare ed incentivare la religione cattolica ed il cristianesimo, base solida e sicura di una società compatta e bene ordinata. Saranno pure, secondo alcuni, astrazioni, ma le forze psichiche costituiscono le più gravi minacce per il genere umano. In particolare quelle nascoste, dell’inconscio, fonti della follia individuale e collettiva che talora trova sfogo nelle cose umane. Da qui altre letture sulla vita intrauterina e perinatale, sulla funzione guida della voce della madre, sulla profondità della simbiosi e dalla intensità della comunicazione madre figlio, a partire dalla vita fetale. C’è un fanciullo dentro ciascuno di noi, costruito a partire dal concepimento e dallo sviluppo fetale, nel grembo di una donna, della propria madre. L’esperienza fetale e perinatale non scompare nel nulla, la personalità si forma gradualmente, attorno ad una vocazione (una voce che guida), passando dalla inconsapevolezza alla consapevolezza della coscienza, ma la gran parte dei contenuti delle esperienze primordiali restano lì, nascoste, dentro ciascuno di noi, nell’inconscio. E da lì, senza che noi lo sappiamo, ci determinano, spesso ci dominano, in modo per noi inconsapevole e, talora, fino alla vecchiaia, per tutta la vita. Per essere dominato e corretto, l’inconscio deve attingere la sfera della coscienza, ed ivi essere portato. Ma chi è consapevole di questo? Chi è disposto a farlo? Il bambino, il bambino è colui nel quale l’inconscio vive. Dice Gesù, lasciate che i bambini vengano a me, ed, anche, se non ritornerete come bambini, non potrete accedere al Regno dei Cieli. A Nicodemo, che va da lui di notte, Gesù dice che occorre rinascere dall’alto. Dio si è fatto quindi carico di tutto questo, di tutta questa imperfezione, di tutto questo male che ci affligge fin dal concepimento, e di fronte al quale siamo completamente indifesi. Altro che autodeterminazione! Nel momento in cui diventa madre, anche la più perfida ed inadeguata oca per il figlio diventa divina!, dice, più o meno, Carl Gustav Jung. Ma di tutte le sue mancanze, inadeguatezze e fragilità è pronto a farsi carico il Padre, attraverso suo Figlio, mediante lo Spirito Santo. Nel Battesimo, ci chiama a diventare figli suoi e, nella Chiesa, che è madre, a gestarci per una nuova nascita, dall’alto, nello Spirito. Qui, in un cammino, potranno emergere i cadaveri che ci portiamo inconsapevolmente dentro, qui potremo venire alla luce e scoprire di avere un Padre ed una Madre, ricevere olio sulle ferite (e, prima di tutto, il perdono dei peccati), essere curati, guarire e rinascere, proprio dall'Alto, da Dio, come suoi figli, come creature nuove. Questa è la mia esperienza. Il resto, credo, serve a poco.

15 agosto 2016 – Festa della Assunzione di Maria in Cielo

mercoledì 10 agosto 2016

Dal massacro del Charlie Hebdo alle unioni civili – cronaca del non-senso


Dopo la strage del Charlie Hebdo, esempio di moderna satira dissacratrice feroce e violenta, il giornalista televisivo spiegava che la Francia reagiva in difesa dei valori dell’occidente. Vicino a lei, tra la folla, tre giovani, uno di colore, impegnati in uno shake a ritmo di discoteca, patetico segno concreto, assieme alla rivista satirica, di questi valori di liberà in cui l’occidente crede. E’ di questi giorni la polemica nostrana sulle modalità celebrative della registrazione delle unioni civili, che, come si è detto, non essendo un matrimonio, sono tuttavia dotate di pari dignità, anche a fini celebrativi, e soggette alle stesse regole. Un istituto nuovo, si dice, una vera sfida alla nostra intelligenza razionale, si potrebbe aggiungere. Un po’ come dire, in un altro campo: tu non sei un avvocato, perché non hai fatto la pratica forense e non ha i superato l’esame di Stato, però sei un legal services provider; se ti registri all’Ordine Avvocati puoi assumere incarichi, fornire consulenze e patrocinare in tribunale, iscriverTi alla Cassa Forense e, in genere, fare tutto quello che fanno gli avvocati. Solo, sei esentato dal dovere di fedele patrocinio, e in questo sta la differenza con l’avvocato vero e proprio. E’ la stessa logica, della finzione, che presiede la normativa che consente il cambio chirurgico di sesso: senti che il tuo corpo non corrisponde alla rappresentazione psichica che hai di te? Ti senti una donna in un corpo di uomo? Oppure non ti senti né donna, né uomo, e quindi rifiuti qualsiasi connotazione sessuale e di genere? Bene, se uno psicologo del Servizio Sanitario Nazionale certifica questo tuo sentire, un intervento chirurgico adatterà il tuo soma alla psiche. Una illusione, perché nel tuo DNA continueranno ad esistere i medesimi cromosomi XX ed XY che hanno determinato il tuo essere uomo o donna, ed anche il tuo cervello risulterà impermeabile a qualsiasi trasformazione. Per lui continuerai ad essere uomo, o donna, quale sei secondo natura. Nei casi delle unioni civili e della psicologia, cosiddetta, di genere, assistiamo quindi, assecondandola anche normativamente, ad una finzione, illudendoci che la natura possa essere cambiata in base ai personali orientamenti della psiche. Qualcosa di simile avveniva nelle filosofie gnostiche e nel manicheismo, dove grande rilievo aveva lo spirito, l’intelletto, ed il corpo, espressione della vile materia, era visto come un ostacolo, ed un impedimento alla piena realizzazione di sé. Ci troviamo quindi al cospetto di uomini e donne che nelle unioni civili fanno finta di essere un matrimonio, e nel cambio chirurgico di sesso di essere ciò che in natura non sono, e non possono essere. A questa finzione viene dato il suggello normativo, cercando, anche, di impedire e soffocare in vario modo che, su questi temi, la si possa pensare diversamente. Una vera e propria rieducazione, una colonizzazione ideologica, per dirla con Papa Francesco, nello stile dello Stato Etico.
Che dire di tutto ciò? Assistiamo ad un pesante sonno della ragione. Nell’animo umano è radicata una forte richiesta di senso, del senso della vita, della realtà, delle cose che accadono, della morte. Tutto questo risiede nella coscienza individuale, formata dalla percezione del mondo esterno e dal significato ad esso attribuito, con un movimento intenzionale, attraverso il linguaggio. La coscienza custodisce la rappresentazione del mondo e di quello che, per ciascuno, è il suo senso o, simmetricamente, non-senso. La coscienza è bene aggregata quando il mondo dei fenomeni appare ordinato e finalizzato, anche in una prospettiva religiosa e trascendentale, e le domande fondamentali trovano appagante risposta. Se queste risposte mancano, se la realtà non ha senso, se l’inconscio trasmette i messaggi inquietanti e disgregativi che scaturiscono da una visione del mondo distorta ed incompleta, la coscienza si disgrega, ed una coscienza disaggregata è molto simile alla condizione della malattia mentale. Lo scriveva Carl Gustav Jung (‘Il significato dell’inconscio nell’educazione individuale’, in Opere, Torino, 1999, 149).
E’ esattamente quello che sta accadendo: stiamo connotando di non-senso la realtà. O, meglio, stiamo finalizzando ogni cosa alla soddisfazione di ogni desiderio personale, come se l’Io personale di ciascuno coincidesse con l’assoluto. E’ il senso del peccato originale, farsi simile a Dio, poter stabilire che cosa è male e che cosa è bene. Il risultato, per chi lo voglia vedere, è sotto i nostri occhi: ciò che è bene per uno è male per l’altro, non si capisce più cosa sia bene e cosa sia male, dopo il matrimonio gay si affaccia la poligamia (la propone in questi giorni, senza reticenze, Hamza Roberto Piccardo, fondatore dell'Ucoii, l'Unione delle Comunità Islamiche in Italia), accanto alla sessualizzazione precoce dei bambini propugnata nella scuola e dal Servizio Sanitario Nazionale. Prevedibilmente presto (già la normativa civilistica si è attenuata) cadranno i tabù dell’incesto e quello, ad esso simbolicamente legato, della pedofilia. Il matrimonio tra l’uomo e la donna, origine della famiglia e fondamento della società, svilito, normativamente e simbolicamente distrutto, è stato ridotto a mera opzione affettiva tra le tante, a realtà privata e disponibile, salvo rivelarsi una gabbia, quasi una sala di tortura, davanti ai tribunali, in caso di separazione e divorzio.
Secondo una interpretazione, la radice della parola latina ‘iustum’, ‘giusto’, è ‘ius’, ‘diritto’: è giusto, secondo giustizia, ciò che è secondo il diritto. Ma, allora, basta una legge dello Stato per sancire ciò che è giusto? Basta cambiare il significato delle parole per cambiare la natura? Ognuno può dare, in coscienza, la sua risposta. Se oggi, in coscienza, non si sa più che cosa è bene, e che cosa è male o, ciò che è lo stesso, per alcuni è bene ciò che per altri è male, forse occorre ammettere che non è la legge dello Stato che possa sancire cosa sia veramente giusto e che cosa no. Il vero codice morale è profondamente radicato nella realtà delle cose, nel fine in essa inscritto, per cui la realtà appare come una promessa (‘pro’ e ‘missa’, messa qui, davanti a noi, per qualcosa, per un fine). Pretendere, illusoriamente, di modificare questa realtà con le leggi o cambiando il senso delle parole, vuol dire creare un mondo illusorio e senza senso, come affermare che è facoltativo rispettare i patti, o che l’acqua scorre verso l’alto, introdurre un conflitto schizofrenico tra la razionalità della mente e la intuizione del cuore, operare per la disgregazione delle coscienze individuali, ponendo quindi le premesse per la nevrosi e, a seguire, della pazzia collettiva di cui già si intravvedono i segni. Quella follìa diffusa e nascosta dietro l’apparenza di normalità che occhieggia dai massacri e dalle tragedie che la cronaca, in questi ultimi tempi, non ci risparmia.
Avanti così, basteranno forse una o due generazioni per rendersene meglio conto. Sperando che, quando ciò dovesse avvenire, non sia troppo tardi.

giovedì 12 febbraio 2015

Le Mariage pour Tous


Si chiama con un altro nome, ma quello all’esame della Seconda Commissione Giustizia del Senato della Repubblica è il vero mariage pour tous. In tutto e per tutto il matrimonio omosessuale, introdotto – se verrà approvata la legge – con il nome di unione civile.
Con buona pace delle Sentinelle in Piedi, della Manif pour Tous e di quanto si affannano nella difesa della famiglia naturale, arroccati dietro la illusione di un istituto, fino ad ora conosciuto come matrimonio, che formalmente continua ad avere una sua previsione e disciplina nel codice civile, ma che, se passa questa nuova legge, sarà completamente svuotato di significato e di contenuto. Prima di tutto sul piano simbolico e del significato, ciò che è l’aspetto più importante dal punto di vista sociale e del costume.
Il tutto senza nemmeno più la necessità del trampolino di lancio della legge sulla omofobia, il cosiddetto disegno di legge Scalfarotto, superato abilmente da questo nuovo disegno di legge, che si può trovare e leggere semplicemente digitando su Google “DDL S-14”. Sul piano culturale, ci battiamo per difendere un albero (matrimonio e famiglia), e non ci accorgiamo che ne sono state recise le radici.
Con il DDL su le mariage pour tous, come ci piace definire il disegno di legge sulle unioni civili, due persone, anche dello stesso sesso, che vogliano stabilire tra loro una comunione di vita materiale e spirituale, possono finalmente farlo iscrivendosi ad un apposito registro, istituito per legge, dopo di che acquisiranno uno status in tutto e per tutto equiparato, per legge, a quello di coniuge.
Per iscriversi al registro, tuttavia, devono sussistere alcuni presupposti e condizioni, quali non essere (entro certo limiti) parenti, non essere già sposati od appartenenti ad altra unione civile registrata, ed altre condizioni che, esplicitamente, sono pari pari riprese con rinvio alle norme del codice civile in tema di impedimenti al matrimonio.
Il membro della unione civile è equiparato al coniuge in tutto, compresi diritti successori e la possibilità di adozione e di affidamento di figli minori.
Con l’approvazione di questo disegno di legge, le mariage pour tous sarà quindi una realtà anche nel nostro paese. Resta, invero, l’handicap del nome (matrimonio fa un altro effetto, i membri della unione civile come si possono definire: unionisti? Unioncivilisti? Civil partners?), ma è presumibile che anche questo aspetto sarà presto o tardi superato.
Nelle sue dinamiche sorgive, così bene descritte dallo sguardo penetrante del grande antropologo Claude Levi-Strauss, dal divieto dell’incesto deriva che l’uomo e la donna sono ‘forniti’ da famiglie necessariamente diverse tra le quali, in conseguenza della loro unione, si stabiliscono legami, rapporti ed alleanze socialmente rilevanti, tutte incentrate sul nucleo indefettibile della generatività della famiglia così costituita. Da essa, dai legami di consanguineità e da quelli, di parentela ed affinità, che da essa derivano, si ordinano i rapporti sociali e tra le generazioni. Il matrimonio, esogamico e monogamico, è il rito che, nelle sue varie possibili forme, suggella questo patto nuziale, che non può non avere rilievo pubblico.
Ogni nuova forma para-famigliare che consista nella instaurazione di una comunione di vita tra i coniugi (e, nelle civil partnerships, tra i soggetti a loro assimilati) è, per assonanza, inevitabilmente imitativa di queste dinamiche primigenie.
E, se nel caso delle unioni civili eterosessuali, con l’istituzione del registro delle unioni civili abbiamo l’introduzione, con altro nome, di una nuova forma, grezza e rudimentale, di matrimonio, nel caso delle unioni tra persone dello stesso sesso questo meccanismo imitativo implica e provoca inevitabilmente il cedimento (spesso inconsapevole), prima di tutto lessicale e semantico (cioè sul piano simbolico), di un fondamento antropologico fondamentale che stava alla base del matrimonio e della famiglia: la generazione dei figli e l’ordine delle generazioni. Se, cioè, si ammette che il matrimonio, nella sua nuova forma (chiamata, provvisoriamente, unione civile), sia accessibile anche alle persone dello stesso sesso, in una unione, quindi, per sua natura sterile, si cede anche, sul piano logico, ad un radicale mutamento del significato delle dinamiche e dei termini legati alla maternità, alla paternità, alla responsabilità genitoriale, accettando che anche coppie per loro natura sterili come le coppie omosessuali debbano potere, nella logica imitativa del matrimonio e della famiglia, avere figli. Come? Con l’adozione, le fecondazione eterologa, la produzione in vitro, la cosiddetta gestazione di sostegno (leggasi utero in affitto), e quindi nel traffico e nella mercificazione degli esseri umani.
Accolto il principio (e il disegno di legge sulle unioni civili inequivocabilmente lo accoglie), le conseguenze, un po’ per volta, verranno, e già nelle sentenze di vari tribunali se ne registrano le prime avvisaglie, con l’adozione e l’affidamento di minori a coppie omosessuali. Con buona pace del principio per cui l’orientamento sessuale delle persone, al pari dell’affetto, dell’amicizia, della buona o cattiva educazione, per la loro estrema soggettività ed inafferrabilità, non sono e non devono essere rilevanti per il diritto. Ma il dilagante relativismo ideologico ha ormai privato questo argomento, l’abbiccì per i giuristi, di ogni spessore e consistenza, con abdicazione – su questo fondamentale punto - del diritto e delle leggi alla propria funzione ed alla esigenza di certezza dei rapporti giuridici.
Un importante fenomeno che la legge sulle unioni civili, se approvata, produrrà con riferimento alle unioni eterosessuali, è la introduzione, come detto, di una nuova forma, più grezza e rudimentale, di matrimonio, l’iscrizione, per l’appunto, nel registro delle unioni civili. Ma quali effetti produrrà l’appartenenza ad una unione civile sugli status parentali? E cioè, a parte l’acquisizione, da parte dei membri della unione civile, di uno status in tutto e per tutto assimilato a quello di coniuge, che ne sarà di fratelli e sorelle, genitori e parenti vari dei partners, che nel matrimonio sono, rispettivamente, cognati e cognate, suoceri, affiliati in vario grado dei coniugi? E, in mancanza di un regime di parentela e di affinità che scaturisca dalla unione civile, come sarà, per i figli delle civil partnerships, il regime degli impedimenti per le unioni civili che questi ultimi volessero contrarre? Nel disegno di legge non è precisato. Quel che è certo è che l’idea stessa di matrimonio, quale continua, come un reperto quasi archeologico, ad essere disciplinato dal codice civile, ne risulterà svuotata di senso dall’interno, depotenziata, resa insignificante o, comunque, meno pregnante ed attrattiva, sancendo, con il suo fallimento, il tramonto definitivo del matrimonio civile, introdotto e modellato da Napoleone sulla scorta del diritto canonico. Aiutato, in questo, dalla martellante giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale (in presenza di un matrimonio ‘tradizionale’, civile o concordatario) per separarsi basta volerlo, anche solo per una soggettiva disaffezione, senza che occorra una causa seria ed oggettiva che renda la convivenza intollerabile. Basta, alla fine, cambiare idea. Anche se sono nati figli, anche se uno dei coniugi ha in buona fede confidato nella indissolubilità del vincolo, anche se il coniuge incolpevole viene cacciato di casa, privato del rapporto con i figli, costretto a pagarne il mantenimento e messo – di sovente - in povertà (cosa che accade per lo più ai padri).
Per la Cassazione, quindi (non senza errori e imbarazzanti contraddizioni), siamo tornati al diritto romano classico, dove il matrimonio, privo di riti con effetti normativi, derivava dal semplice fatto della convivenza ispirata da un atteggiamento soggettivo della volizione che veniva chiamato l’affectio maritalis. Venuta meno quella, la donna (ai nostri giorni anche l’uomo) poteva essere liberamente rispedita a casa, dai suoi. E quello era il divorzio.
Finalmente, si può ancora osservare che l’introduzione di un nuovo modello generale di unione, sullo stile imitativo del matrimonio, da cui ha origine la famiglia, nella sua più labile e rudimentale disciplina, opera un impoverimento del linguaggio, un affievolimento – su tale piano - del valore simbolico del matrimonio e della famiglia e, di conseguenza, della potente funzione unitiva e di riconoscimento, in tali istituzioni, di una vasta parte della società.
D’altro canto, se è vero che lo stile imitativo della famiglia generativa caratterizza la natura e la disciplina di ogni unione che coinvolga l’unione materiale e spirituale dei relativi membri, l’assimilazione allargata alle unioni tra persone dello stesso sesso implica l’accettazione, sul piano simbolico e della possibilità giuridica, del principio che anche ai membri delle stesse debba essere riconosciuto il diritto di esplicare, in qualche modo, l’aspirazione alla genitorialità, necessariamente scivolando su un cambiamento radicale del modo di concepirla.
E ciò pone un problema. Delle due l’una, o l’assimilazione a matrimonio e famiglia delle unioni tra persone dello stesso sesso è incostituzionale, oppure dobbiamo accettare l’idea che le dinamiche procreative ben possano essere surrogate dalla tecnologia e dalla legge. Allargando il discorso, si può ritenere che l’imitazione della famiglia attuata mediante le unioni ‘para-famigliari’ eterosessuali ben potrebbe (e legittimamente, anche se con leggi di discutibile corrispondenza all’ordine sociale ed al bene comune) corrispondere ad un modello liquido, per così dire, di matrimonio, quale era nel diritto romano classico. La tutela di tali unioni sarebbe rimessa ad interventi giurisprudenziali, fondati sul mero accertamento dello stato di fatto della convivenza more uxorio, ricadente a pieno titolo nell’ambito degli artt. 2 ed anche 29 della Costituzione, considerando tali unioni quali formazioni sociali di tipo famigliare, solo caratterizzate da una diversa ritualità matrimoniale, all’interno delle quali si esplica la personalità degli individui. Non altrettanto, però – se non si accetta l’idea di genitorialità e di filiazione che dovrebbe agire nelle coppie dello stesso sesso -, si potrebbe dire (come invece fa la Cassazione) per queste ultime. Le unioni tra persone dello stesso, cioè, non potrebbero godere della tutela di cui all’art. 2 della Costituzione perché il riconoscimento del carattere imitativo della famiglia naturale che le contraddistingue implicherebbe un inammissibile snaturamento del rapporto di genitorialità e di filiazione che necessariamente dovrebbe discendere da tale loro natura. In tal senso, l’unica norma che dovrebbe disciplinare il fenomeno familiare, esclusivamente su base matrimoniale monogamica ed eterosessuale, dovrebbe essere l’art. 29 della Costituzione.
Il deragliamento, ormai in atto nella nostra società, da questi principi, porta ad uno svuotamento di senso degli istituti basilari e fondativi della coesione sociale, quali sono matrimonio e famiglia, ad un appannamento dei valori, ad un depotenziamento dei simboli identificativi dell’unità della famiglia, alla confusione o alla perdita dei ruoli parentali ed al conseguente indebolimento dei rapporti sociali e dei vincoli di solidarietà tra le persone; alla incoerenza e nebulosità del sistema normativo, alla relativizzazione dei valori ed al pluralismo interpretativo; al sacrificio della certezza del diritto, affidato in gran parte alla tecnica pretoria (cioè alla logica delle sentenze); alla confusione ed allo smarrimento dei singoli, alla loro solitudine, alla frammentazione sociale, alla mistificazione linguistica ed alla conseguente incapacità di comunicare; all’aumento delle solitudini, delle nevrosi e delle depressioni, in una parola, al caos sociale ed alla infelicità delle persone.
Ecco, questo crediamo sia lo stravolgimento antropologico in atto nella nostra società, sul quale riflettere.

Piacenza, 12 febbraio 2015.

Livio Podrecca

Presidente UGCI Piacenza

lunedì 10 marzo 2014

Il Padre e la regola


Chi, nei momenti di stanchezza e di difficoltà, non è stato tentato di mollare tutto, di lasciarsi andare, magari di annegare i dispiaceri nell’alcol, o di dimenticarli nel sesso, di fuggire, insomma, dalle difficoltà del presente, cercando sollievo con la fuga dalla realtà, in un proprio personale nirvana?
Questa reazione, ci insegna Jacques Lacan, non è nient’altro che la tentazione della regressione, del ritorno all’universo indistinto della fase pregenitale, la ricerca del calore del seno materno, un mondo dove tutto era indistinto e ci si poteva abbandonare nell’alveo morbido ed ovattato delle cure materne.
Un mondo nel quale, d’istinto, ed inconsapevolmente, spesso cerchiamo idealmente di tornare, e dal quale abbiamo cominciato, poco a poco, a liberarci, nel processo non mai realmente finito di conquista di noi stessi, nella costruzione della nostra personalità, per una serie di fattori esterni di ‘disturbo’. Tra questi, prima di tutti, l’azione paterna.
La prima norma universale, presente in tutte le epoche ed in tutte le culture, ci insegna il grande antropologo Levi-Strauss, è il divieto dell’incesto. Il padre, come ha evidenziato la psicoanalisi, da Freud e, in particolare, da Jung in poi, portando la regola, la norma, rompe il rapporto simbiotico tra il bambino e la madre, ed introietta nel bambino il principio di realtà.
Con l’intervento del padre, nelle dinamiche virtuose del complesso di Edipo da esso innestate, viene spezzato nel bambino il senso di onnipotenza, di essere il centro di un mondo nel quale tutto è universale ed indistinto, e scatta il primo meccanismo che è alla base delle relazioni sociali (e, quindi, del diritto): il riconoscimento. Il riconoscimento dell’altro, di un terzo, rappresentato in primo luogo dal padre.
Ponendo la norma, il padre rende quindi al figlio un servizio, frustrandone gli istinti narcisistici e portando, mediante l’identificazione con la figura paterna e la sua idealizzazione, al riconoscimento progressivo della realtà, alla conquista del proprio io, alla formazione della propria personalità.
Questa funzione del padre nello sviluppo del bambino aiuta anche a comprendere che l’autorità è un servizio, non una affermazione di potere, ma un aiuto a crescere, a prendere atto della realtà, ad essere educato alla azione ed alla rinuncia, abbandonando la prospettiva edonistica della ricerca della soddisfazione dei bisogni e dell’appagamento del piacere, in che sostanzialmente, in natura, consiste il mondo materno, i suoi simboli, gli archetipi nei quali si presenta.
Questo quadro, che ho voluto pur così grossolanamente rappresentare, ha delle singolari affinità con ciò che sta ora accadendo nella sfera sociale e pubblica delle relazioni umane.
In essa, notiamo innanzitutto un pesante appannamento del principio di realtà.
Lo profetizzava il grande scrittore inglese J. G. Chesterton, secondo il quale sarebbero venuti tempi nei quali fuochi sarebbero stati accesi e spade sguainate per dimostrare che una pietra è una pietra e che le foglie sono verdi d’estate.
Se si può normare per legge il matrimonio omosessuale, e presentare la diversità gender come normale e semplicemente alternativa alla eterosessualità, ciò è esattamente la prova che la profezia chestertoniana si è avverata: la società naviga ormai in un mondo irreale, preda di visioni e deliri che ben si possono sovrapporre a quelli infantili.
A ben vedere, questa sembra una conseguenza piuttosto naturale della rimozione, dagli schemi sociali, della figura del padre e del principio di autorità che esso rappresentava.
Fatto che, secondo Jacques Lacan, è la base della grande nevrosi dei nostri tempi.
Non solo degli umani padri di famiglia, assenti, come ci insegna lo psicologo Claudio Risé, spesso ridotti a stucchevoli manichini, narcisisti più o meno manierosi, misurati in base alla loro capacità di produrre reddito. Ma anche del Padre Celeste, Dio, così presentato nella Sacra Scrittura, nel cristianesimo.
In assenza di un Padre che dà la norma, la regola, la realtà ed il suo significato sono destinate a sfuggirci, a rimanere fenomeni vuoti ed incomprensibili. Così da giustificare ogni relativismo, anche sul piano etico.
Avviene così che la legge dello Stato, anziché aiutarci ad introiettare la realtà, si piega invece a soddisfare ogni istanza e finanche ogni capriccio individuale, rinunciando alla propria missione ed alla propria funzione, con svuotamento di ciò che il diritto è chiamato costitutivamente ad essere, in sé.
E così, a livello sociale, si osserva una regressione collettiva verso un mondo indistinto dove, come nel bambino, può essere messo in discussione e sfuggire persino un dato solido ed evidente, e non solo sul piano biologico, come la differenza sessuale, il cui riconoscimento e la cui mancata radicazione nel sé comporta, per lo psichiatra cattolico Tony Anatrella, la mancanza del presupposto indispensabile per poter capire la realtà.
Se non è orientata dal principio di realtà, dal carattere oggettivo delle sue istanze, e dal suo riconoscimento, la ragione diviene, come è, collettivamente, divenuta, irragionevole.

Questi sono i tempi paurosi che stiamo vivendo, nei quali si tenta, con l’impiego di enormi risorse, di inculcare visioni antropologiche assurde e fuorvianti, quali sono quelle dei genders, tali da destabilizzare (o, come anche si è detto, da decostruire) l’ordine sociale ed il suo più solido e certo fondamento: la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna.

domenica 2 marzo 2014

L’UNAR e la propaganda ideologica gay ed LGBT friendly



Cercando di semplificare al massimo, l’Unione Europea, nata tra a Roma e Parigi con i trattati degli anni ’50 per mere competenze e finalità economiche e dei commerci, dopo l’introduzione dell’unione monetaria (realizzata con il Trattato di Maastricht del 7.2.1992) e l’approvazione della Costituzione Europea (Trattato di Lisbona del 13.12.2007), vuole diventare anche un’Europa dei cittadini (europei) e dei loro diritti fondamentali.
A tal fine, dopo l’approvazione, il 4.11.1950, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (c.d. ‘CEDU’, acronimo che contraddistingue anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), il 7.12.2000 viene approvata la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, la cosiddetta ‘Carta di Nizza’, che a seguito del richiamo dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea (come modificato dal Trattato di Lisbona), ha per i paesi membri il valore e l’efficacia (vincolante) di un trattato internazionale.
L’Europa, tuttavia, in base al suo trattato istitutivo, non ha le caratteristiche di uno Stato sovrano, e le sue competenze sono limitate alle materie previste, per l’appunto, dai trattati che la istituiscono.
Tra queste materie, occorre dire subito, non rientrano il diritto di famiglia e delle persone, e su tali materie il Trattato di Lisbona e la Carta dei Diritti di Fondamentali del 2000, approvata a Nizza, non sono affatto vincolanti per lo Stato Italiano, né, tra parentesi, in tema di matrimonio, famiglia, sessualità ed orientamento sessuale, hanno il significato esplicito che alcuni vorrebbere loro attribuire.
I principi e diritti in essi affermati, essendo limitati alle competenze della Unione Europea, non hanno, comunque, un valore universalistico, al contrario di quelli affermati nella nostra Costituzione.
Questa complicata, certamente noiosa e grossolana (ma spero sufficientemente chiara) premessa per dire che quello che pensa l’Europa sulla persona e sulla famiglia, sul matrimonio e sulla filiazione, sulla educazione dei figli e sulla istruzione, non vincola affatto gli stati membri, che continuano ad essere regolati e vincolati da quello che, invece, prevedono le rispettive leggi e Costituzioni.
Se le cose stanno così, viene da chiedersi: ma perché, allora, l’UNAR (Ufficio del Ministero delle Pari Opportunità che si occupa di contrastare le discriminazioni razziali) è stato così sollecito nel recepire la raccomandazione del Consiglio d’Europa (CM/REC(2015)5) che, con il titolo, “Combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, in realtà attua una vera e propria propaganda ideologica pro gay ed LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), dai contenuti gestiti in esclusiva dalle associazioni di questi ultimi, senza neppure il consulto dell’associazionismo pro famiglia c.d. ‘tradizionale’ (in realtà l’unica che possa essere contraddistinta da tal nome)? Perché a seguito di una semplice raccomandazione del Consiglio d’Europa, non vincolante per lo Stato Italiano ed anzi –volendo- in contrasto con il dettato costituzionale, in assenza di leggi approvate dal Parlamento, il Ministero delle Pari Opportunità ha affidato a ben 29 associazioni di attivisti gay e LGBT, ed all’Istituto Beck, senza neppure consultare le associazioni pro famiglia, l’elaborazione di linee guida e (a spese dei cittadini) di libretti, da diffondere nelle scuole, che presentano l’omosessualità e le tendenze ed orientamenti sessuali LGBT come fatti assolutamente normali, alternativi alla eterosessualità e liberamente opzionabili dalla persona? I genitori e le famiglie italiane, e gli stessi insegnanti, sono tutti d’accordo che lo Stato Italiano, sostituendosi e loro ed in contrasto con i loro convincimenti morali e religiosi, insegni ai loro figli e promuova un atteggiamento gay ed LGBT friendly in una materia, come quella della sessualità, delicata, certamente discutibile e discussa, che avrà come risultato quello di violare il diritto dovere di educare e la libertà di insegnamento, ingenerando nei piccoli confusione e disorientamento? E perché nei centri di potere l’ideologia di una minoranza, quelli degli attivisti gay ed LGBT, deve prevalere contro quelle che probabilmente sono le convinzioni e la sensibilità della stragrande maggioranza dei cittadini?


Ecco, queste sono le domande che mi pongo, consolato dal pensiero che il governo Letta (dopo tante rassicurazioni di sostegno) sia provvidenzialmente caduto proprio per questa ragione di fondo: per lo scandalo ai piccoli che i suoi ministri stavano perpetrando. Metaforicamente, si tratta forse di una forma (edulcorata) di quella macina al collo che Gesù indicava come preferibile per chi scandalizza i piccoli che credono in Lui (Mt. 18, 6).