Francamente non so che risposta dare. Si affaccia come una tentazione il
pensiero che sia finita un’epoca. Ma più forte e prepotente è il senso
dell’amore di Dio, della sua Provvidenza. Della divina pianificazione del bene
da svolgere. Il Signore chiama. Il Signore mi chiama. Questa è la prova che
sono vivo. L’amore è qualità e sostanza unicamente divina, che può attraversare
la nostra vita, di cui noi possiamo essere dei semplici ripetitori. Anche se
inerti. È lui che opera.
In fondo il problema della società dei nostri giorni è ancora quello del
Paradiso terrestre, dell’Eden, dei nostri progenitori Adamo ed Eva. Credere o
meno che Dio possa bastare. Se si insinua il pensiero che Dio può non essere
sufficiente a dare pienezza alla nostra vita, si aprono le porte, si pongono le
premesse alla tentazione, come un piano inclinato e scivoloso, viscido, verso
la concupiscenza. La superbia della vita, la concupiscenza degli occhi e della
carne. In fondo il punto centrale, esistenziale, su cui si gioca la
realizzazione delle nostre vite, è la dimensione oblativa o, in alternativa,
individualistica che le dirige. La scelta è la nostra.
L’uomo è sempre lo stesso. Dalla creazione ad oggi, è sempre lo stesso.
È fondamentale capire quale sia l’asse fondamentale su cui girano le
nostre esistenze. La posizione individualistica assomiglia, in fondo, anzi, è
uguale, a quella infantile. Il poppante, il bambino, e residuamente anche
l’adolescente, crede di essere il centro del mondo. In una identificazione
inizialmente totale con la madre crede che tutto gli sia dovuto, è gravido di
aspettative, desideroso di riconoscimento e di segni di affetto che gli
comunichino e dimostrino il suo valore come creatura. Questo riconoscimento,
che getta le fondamenta per la costruzione della personalità, la serenità, la fiducia
in se stesso e la sicurezza interiore dell’adulto, andando avanti nella vita,
diventando adulti, rischia di diventare una pretesa verso tutto e verso tutti,
se non vi sarà stata una adeguata azione paterna e, in generale, educativa al
mondo delle regole e dei doveri. Il mondo materno, di soddisfazione del
piacere, rischia di diventare un circolo vizioso e velenoso, fonte di
infelicità, condannando chi vi è prigioniero a cercare continuamente la
soddisfazione dei piacere ed a dare tutto a se stesso.
Il problema del matrimonio moderno è, alla base, proprio questo. La
concezione romantica, basata sull’affetto e sul sentimento, si potrebbe anzi
dire il sentimentalismo, che viene confuso con l’amore. Un qualcosa che si
pensa sia imprescindibile e che si debba pretendere per la propria desiderata
felicità ed il proprio benessere. Illusoriamente. Alle volte l’amore e la
fedeltà coniugale passano attraverso lunghi ed aridi deserti affettivi. Nell’amore
nuziale c’è, certamente, anche l’affetto ed il sentimento, ma prima di tutto
c’è una dimensione oblativa e una alleanza, alla quale si è chiamati a tenere
fede. Nella tradizione cristiana, le Sacre Scritture si articolano su due
fondamentali colonne, l’Antico ed il Nuovo Testamento. L’Antica e la Nuova Alleanza,
suggellata da Cristo sulla croce e con la sua resurrezione.
Il matrimonio nella sua essenza più profonda, rivelata dal linguaggio del
corpo, è la donazione reciproca degli sposi, l’uno all’altra. Una donazione a
termine, revocabile, è una contraddizione in termini. Una violazione del patto
di fedeltà reciproca. Il modello di donazione, però, non è quello umano che è
interessato ad un contraccambio e in certi casi revocabile. Il modello di
donazione è quello divino, suggellato da Gesù Cristo sulla Santa Croce. La
morte e la resurrezione di Cristo sono testimonianza della irrevocabilità dell’Amore
di Dio sancito nella Nuova Alleanza. Un mistero grande, dice San Paolo, con
riferimento a Cristo ed alla Chiesa.
Ogni realtà umana non può essere davvero compresa appieno se si escludono
Dio e la sua opera. Così il matrimonio, che supera l’istinto animale, sessuale,
riproduttivo, per uniformarlo al modello dell’Amore di Dio e delle Nozze di
Cristo con la sua Chiesa. La similitudine nuziale attraversa la Sacra Scrittura
fin dalle origini. Sono le Nozze dell’Agnello che danno senso ed una direzione
all’amore, in particolare sponsale, umano.
Che questa verità possa essere negata o negletta è un mistero, perché
tutto il nostro essere interiore, nel profondo, esprime proprio questo incessante
anelito.
Senza la prospettiva divina, il matrimonio resta parzialmente
incomprensibile, come è, infatti, umanamente incomprensibile che due coniugi
che non si sopportano più non possano separarsi e divorziare. Senza la Grazia
di Dio è molto difficile (per non dire impossibile), in queste condizioni,
resistere insieme. Ma separarsi porta dolori e danni ai coniugi ma,
soprattutto, ai figli, espressione concreta ed irrevocabile dello loro intima e
non revocabile unità.
Quindi la realtà del matrimonio, nel linguaggio del corpo, porta a Dio.
Per altro verso, è la espressione più alta della fedeltà e del rispetto degli
impegni presi. Perché, come è per diritto naturale, pacta sunt servanda. La separazione (salvi alcuni casi dove essa è
provvisoriamente ammessa) ed il divorzio sono quindi una grave ingiustizia, una
violazione dei doveri di lealtà e di fedeltà, e la lesione dell’affidamento del
prossimo ad una promessa pubblica e solenne. Una società che non capisce più
questo ed anzi che, con le sue leggi ed i suoi tribunali, lo legittima, è una
società che non solo ha abbandonato la fede,
ma che incrina i rapporti di fiducia e di vera solidarietà tra i suoi membri,
ferisce i più piccoli e, in una parola, si autodistrugge. Lo avevano capito
anche gli antichi romani, quando posero mani a leggi che limitassero i divorzi.
Allo stesso modo le società del Nord Europa (p. es. la Danimarca).
Trattare il matrimonio e la famiglia come una realtà disponibile anche
nella sua definizione linguistica, inoltre, implica una vera e propria
falsificazione della logica e del linguaggio. La costruzione di una realtà
sociale malata ed artefatta, dalla quale non potranno che conseguire inganni, danni
e sofferenza alle persone, soprattutto alle più indifese, ed a se stessa.