domenica 20 giugno 2010

Circenses


Stracciarsi le vesti in pubblico è gesto sospetto ed evoca figure farisaiche ed evangelici tradimenti.
Ciò pare maggiormente vero quando chi invoca l’intercettazione libera e globale ha appena dismesso, per poi riprenderli, opportunisticamente, all’occorrenza, i panni dell’ipergarantista del diritto alla riservatezza della sfera individuale.
Su Il Foglio del 12/6 scorso Marina Valensise racconta che la completa soggezione e obbligatoria trasparenza della persona ai pubblici poteri fu vinta per la prima volta, nel senso che oggi diamo alla riservatezza ed al privato, guarda caso, dal cristianesimo.
La corrispondenza ed ogni altra forma di comunicazione, dice la Costituzione repubblicana, sono inviolabili, e limitabili solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie previste dalla legge.
Ma che giustizia è quella delle selvagge investigazioni origliate, non tanto quanto ai casi investigabili con intercettazioni, che nel recente ddl sono sempre gli stessi, più lo stalking, ma pretesamente, di fatto, senza stringenti limiti, quanto alle forme ed alle garanzie?
I nuovi limiti proposti sono perfettibili, certamente, ma alla sola lettura le nuove norme paiono sane e liberatorie nei propositi, forti dell'esperienza delle aberrazioni che vogliono combattere.
E che diritto di cronaca può pretendere di legittimare la gogna indiscriminata sia pure nella forma mediatica, magari di terzi estranei alle indagini ed al reato per il quale si indaga?
Più che il diritto di cronaca e di informazione, pare il dominio del mercato degli scoop, come quello degli alcolici ai minori, che bevano pure, noi li riaccompagnamo a casa.
L’art. 114 del codice di procedura penale, tante volte impunemente disapplicato per l’indolenza e forse la complicità di ignoti topi delle Procure, così come formulato fin dalla riforma dell’'88, già oggi vieta la pubblicazione degli atti di indagine, ancorché non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari o della udienza preliminare.
Anzi se si va al dibattimento per quelli contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ci deve essere stata la sentenza in grado di appello.
Il divieto è presidiato da ben due ipotesi criminose, un delitto, l’art. 326 codice penale, per la rivelazione del segreto, ed una contravvenzione, l’art. 684 codice penale, per la pubblicazione.
I quotidiani spesso grondano il sangue dei linciaggi che consumano.
Si può asserire che ogni desiderio è diritto ed anche la curiosità morbosa vada quindi soddisfatta.
La nostra società offre innumerevoli esempi di una tale infantile ed irragionevole pretesa, che a partire dagli slogan sessantottini è tristemente divenuta dogma, a spese di tanti innocenti.
Ma almeno non nascondiamo che a volerlo è il bieco business della informazione o la nostra insaziabile e proterva sete di massacri mediatici, come per gli antichi lo fu del sangue dei gladiatori o dei martiri, nei moderni ed asettici circhi che sono i circuiti mediatici.
Non è progresso ma brutale regresso alla scomposta ed indifferente ferocia preistorica; barbara neo-civiltà del sole, non mai sazia di sufficientemente scabrosi sacrifici umani.