lunedì 29 settembre 2008

Giù il sipario sul festival del laicismo

Non ho partecipato al Festival del Diritto che si è tenuto a Piacenza dal 25 al 28/9 scorsi, e quindi non posso esprimermi sugli specifici contenuti di ogni singolo focus.

Penso, tuttavia, che difficilmente il Festival avrebbe potuto essere una cosa diversa da quella che si preannunciava dal suo programma, nel quale si nota, in primo luogo, la totale assenza della posizione della cultura giuridica cattolica, evitando accuratamente ogni riferimento ai relativi contenuti, compreso il diritto naturale (se non per negarlo).

A giudicare dai resoconti giornalistici, in effetti, mi pare che, per esempio, nessuno abbia potuto spiegare al numeroso pubblico intervenuto il fondamento della concezione di famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio, recepita dalla nostra costituzione; né il punto di vista dei cristiani sulle questioni del fine-vita legate al testamento biologico ed alla eutanasia, emergendo, al contrario, chiare indicazioni di senso opposto.

Oltre alle quanto meno opinabili opinioni della sociologa Saraceno in tema di ‘nuove famiglie’, basti pensare alla concezione di uomo e di natura umana che il quotidiano Libertà di oggi 29/9 attribuisce a Remo Bodei: “Non c’è più l’anima immortale. Si passa dall’eterno al caduco. Ciascuno di noi è ignoto a se stesso. Non riusciamo mai ad afferrare il centro della nostra identità”, nella quale, come credente, non mi ritrovo affatto, e che non è controbilanciata da visioni della vita e dell’uomo meno material-meccanicistiche.

Se il Festival fosse stato veramente aperto a tutte le posizioni e impostazioni culturali, in primis a quella cattolica che, mi pare, in Italia non sia propriamente minoritaria, penso a cosa, sugli scottanti temi etici, ci avrebbero potuto dire personalità del calibro, per esempio, tra i tanti che si potrebbero citare, di Francesco D’Agostino, di Mons. Elio Sgreccia o Mons. Rino Fisichella, o del Prof. Adriano Pessina.

Personaggi evidentemente ritenuti troppo rappresentativi, di cui si è quindi accuratamente voluto evitare la presenza.

Il messaggio del Festival, a giudicare dai resoconti giornalistici, pare quindi essere esattamente quello che si poteva prevedere: e cioè la promozione e la diffusione tra la gente, sostanzialmente a senso unico e senza reale contraddittorio, di una cultura giuridica (ma non solo) libertaria e laicista.

Una colossale operazione di marketing ‘culturale’, finalizzata a conquistare ed, evidentemente, orientare l’opinione pubblica, confondendola prima con la promessa di un evento pluralista e partecipativo, quale la kermesse piacentina curata dal Prof. Rodotà e dall'editore Laterza non è certamente stata; ed ammaliandola poi con una macchina organizzativa degna di quello che, una volta, era per antonomasia l’unico e vero Festival.

Quello, della canzone, di Sanremo.

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