mercoledì 27 febbraio 2008

Una culla per la vita

Non è dato sapere se ciò risponda a dati reali (sarebbe interessante verificarlo), ma si dice che a Piacenza non nascano quasi più bambini malati.
Muoiono tutti prima del parto, abortiti dalle loro madri, alla prima diagnosi di possibili malattie o malformazioni fetali.
Ed è anche per la diffusione degli aborti che il 19 aprile 2007 Benedetto XVI ha approvato il documento elaborato dalla Commissione Teologica Internazionale su “La Speranza di salvezza per i bimbi che muoiono senza essere stati battezzati”, per cui, smentita l’esistenza del Limbo, si è affermata la speranza di salvezza anche di queste creature.
Le Aziende Sanitarie Locali sono quindi diventate il nostro moderno Monte Taigete, dalle cui cime nell’antichità di Sparta si gettavano i neonati malformati, azione oggi metaforicamente possibile, in tutta liceità, per i dettami ipocriti di una legge dello Stato, la n. 194 del 1978.
Sono tante, infatti, le ragioni, relative sia al testo della legge, sia alla sua applicazione pratica, come avviene nella prassi dei consultori, con le quali si potrebbe dimostrare che questa legge è, in realtà, un traballante paravento che tenta malamente di nascondere, dietro la facciata della tutela della pur preziosa salute della donna, una sbrigativa mentalità abortista, che con la stessa non ha proprio nulla da spartire.
Ma, nel momento in cui la moratoria sull’aborto lanciata da Giuliano Ferrara dalle pagine de Il Foglio sta finalmente travolgendo, come un fiume in piena, la impenetrabile barriera di silenzio che, dal momento della sua approvazione ed entrata in vigore, ha sempre accompagnato la (unilaterale e distorta) applicazione di questa legge, ipocrita pure nella sua titolazione, non è questa la sede per esporle.
Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che la vigente legislazione sulla eufemisticamente chiamata “interruzione volontaria della gravidanza” sembra incarnare ed esprimere l’incomprensione di sé e della propria vocazione, oltre ad una vera e propria avversione alla maternità, alla quale molte donne del nostro secolo sono state, purtroppo, spinte dalla adesione a visioni della vita ed a modelli culturali fortemente condizionati dai falsi miti delle ideologie correnti.
Sperimentando, qui sì, la propria solitudine.
Diversamente non si spiega perché le donne e le madri in difficoltà non debbano lasciarsi aiutare e non accettino di dare alla luce i propri figli, affidandoli, poi, per esempio, alla pietà del prossimo, in vista della futura adozione.
Forse non è abbastanza risaputo che è possibile farlo in modo anonimo, come accuratamente spiega il sito internet dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Piacenza, in forza di numerose e rassicuranti norme di legge (art. 250 cod. civ.; art. 9 legge 798/27; art. 2 legge 127/97; Art. 31, comma 2, Cost.; art. 11 legge 184/83).
Oppure, più romanticamente, ricorrendo alla “ruota degli esposti”, pietoso istituto dei tempi che furono, ma anche dei nostri.
Viene da chiedersi se sia più grave, per una madre, il rimorso di averlo esposto, ma con la consapevolezza di saperlo vivo ed affidato, o il ricordo di avere ucciso, soppresso, eliminato, dite un po’ come volete, il proprio figlio nel proprio grembo, per quante giustificazioni vi si possano trovare ed addurre.
Di questi tempi, abbiamo bisogno di segni, anche piccoli, che ci aiutino, come ci esorta Benedetto XVI, a sperare.
L’ultima “ruota”, nella nostra Città, è stata installata un anno fa, su iniziativa di Don Angelo Bertolotti e con il contributo del Llyons Club S. Antonino, con l’allora Presidente Avv. Angelo Perini, presso il Centro Manfredini di Via Beati, 56/A.
Un piccolo segno.
Una iniziativa che oggi, con il dibattito in corso sulla legge 194, si carica di significati simbolici.
Perché, se chiedete a Don Angelo, la “Culla per la vita” (così si chiama la moderna ruota di Via Beati), non è, fino ad oggi, mai stata usata.
Da nessuno.Per l’appunto.

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