Cara Annalena,
i suoi articoli su Rachida Dati (Il Foglio 9 e 10/1/09) sembrano una cavalcata delle Valchirie, una bora gelida e impetuosa che, con botti e fragore di vetri infranti, irrompe in ogni stanza spalancando finestre, sbattendo porte e sconvolgendo ogni cosa.
A parte l’ammirazione per il suo talento giornalistico, mi chiedo, però, che senso abbia, oggi, una tale, orgogliosa, revanche in stile e piglio post femminista.
Buttarla sulla competizione uomo – donna pare, infatti, cosa un tantino stantìa e, alla lunga, anche autolesionista.
Ferma la libertà di ciascuno, uomo o donna che sia, di decidere del proprio futuro e della propria vita, siamo proprio sicuri che nel cuore di ogni donna il carrierismo ed il lavoro a tutti i costi prevalgano sulla vocazione alla famiglia, alla maternità ed al lavoro domestico, come paiono significare i vuoti vacanti di agognate ed improbabili quote rosa?
E una donna che prende il posto che una volta era dell’uomo non rischia di generare, in famiglia, un mostro a due teste?
Credo che ogni donna dovrebbe permettere all’uomo di assolvere al ruolo che la natura gli assegna e, in un certo senso, dovrebbe pretenderlo.
Ma, forse, il problema è proprio che, come latitano i padri, così non ci sono più uomini.
Per quanto tempestoso, il vento, infatti, prima o poi si acquieta e le stanze restano lì, fredde, vuote e sconvolte.
Per uomini e donne viene quindi la sera.
Ci si guarda indietro e ci si chiede: perché?
Con stima.
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