lunedì 2 giugno 2008

Trent'anni di legge 194 sull’aborto

Trent'anni or sono, in un momento buio della storia italiana, appena dieci giorni dopo l'assassinio di Aldo Moro, con il governo di solidarietà nazionale, presieduto da Giulio Andreotti, assediato da molteplici gravi emergenze, veniva approvata la legge 194, sull'aborto.L'opinione comune, inculcata da anni di malainformazione giornalistica ed istituzionale, era che la nuova legge, oltrecché espressione di un diritto delle donne, era anche necessaria per combattere l'aborto clandestino, di cui si fornivano cifre astronomiche, senza alcuna seria e plausibile giustificazione.
Che si trattasse di frottole parve inoppugnabile dal numero di aborti che si registrarono a partire dalla entrata in vigore della legge, di cui anzi è ragionevole presumere l'aumento rispetto al passato, stante l'effetto propulsivo che la legalizzazione di determinate condotte ha, di norma, sui comportamenti sociali.
Da allora, il fatto forse più grave, assieme allo sterminio di 5 milioni circa di bambini, è l'inculturazione nella società dell'aborto come diritto della donna e la progressiva aura di silenzio ed indifferenza morale da cui l'argomento è stato avvolto.
A distanza di trent'anni, sull'onda della moratoria che tanto ha tenuto banco nel recente dibattito civile e politico, crediamo legittima ed opportuna una riflessione, in primo luogo sulla identità del concepito, nel quale, in modo particolare dopo il referendum sulla legge 40 sulla fecondazione assistita, si riconosce sempre più, fin dal momento del concepimento, un essere umano portatore di un proprio forte ed autonomo diritto alla vita.
Ciò mette in ancor maggiore evidenza le contraddizioni di una legge, la 194, che alla vita umana nascente, in particolare nelle sue prime settimane, accorda scarsa attenzione e rilievo, sacrificandola a scelte materne spesso superficiali, non veramente libere né adeguatamente informate, e soprattutto non sostenute dal calore di quella autentica solidarietà che in tanti anni di attività hanno potuto esprimere i volontari dei centri di aiuto alla vita, che alla prova dei fatti si è dimostrata essere l'arma vincente sulla cultura di morte, derivata dagli eccessi violenti della ideologia femminista, di cui per anni la nostra società si è imbevuta.
Le prime a farne le spese sono state proprio le donne. Anzi: le madri, private dei loro figli di cui hanno disconosciuto il volto e, con dolore spesso inconsolabile e segreto, ora conservano lo struggente rimpianto.
Come ha recentemente affermato il Santo Padre, la legge 194 non ha risolto i problemi delle donne, ma ne ha creati altri, probabilmente più gravi.
Al di là di facili proclami, è, quindi, forse giunto il momento di mettersi, come si suol dire, una mano sulla coscienza, e, seriamente, di ripensarci.

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