martedì 4 marzo 2008

Aborto: siamo sicuri che non fa proprio così male?


Secondo l’Elliot Institute for Social Sciences, il 90% delle donne che ha abortito soffre di danni psichici nella stima di sé; il 50% inizia o aumenta il consumo di bevande alcoliche e/o quello di droga; il 60% è soggetto a idee di suicidio; il 28% ammette di aver persino provato fisicamente suicidarsi; il 20% soffre gravemente di sintomi di tipo stress post-traumatico; il 50% soffre dello stesso in modo meno grave; il 52% soffre di risentimento e persino di odio verso quelle persone che le hanno spinte a compiere l'aborto.
Il professor David Fergusson, ricercatore della Christchurch School of Medicine in Nuova Zelanda, svolgendo uno studio in cui voleva dimostrare che l'aborto non comporta alcuna conseguenza psicologica, ha scoperto che le donne che hanno avuto un'aborto hanno una probabilità 1,5 volte superiore di sviluppare malattie mentali, e due o tre superiore di diventare tossicodipendenti o di fare abuso di alcol.
Secondo l’Archives of Women’s Mental Health, nel 2001, le donne che hanno abortito risultano aver sviluppato in maggior misura reazioni di aggiustamento, psicosi depressive e disturbi neurologici e bipolari. Anche il rischio di depressione o psicosi post parto per le nascite desiderate è maggiore per le donne che avevano precedentemente abortito. Secondo il British Medical Journal del 19/1/2002 per una media di otto anni successivi all'aborto le donne sposate hanno dimostrato una propensione a cadere in depressione clinica del 138% superiore rispetto alle corrispondenti donne che avevano portato avanti la loro gravidanza indesiderata.
Secondo il prestigioso Journal of the National Cancer Institute (n. 1/2/1995), "l'aborto è un fattore di rischio per il cancro al seno: la probabilità di contrarre un tumore della mammella è del 50% maggiore per le donne che ne hanno subito uno".
Non è farina del mio sacco.
Sono solo alcuni passaggi del saggio della psicoterapeuta, nonché Presidente del Movimento per la Vita di Ravenna, D.ssa Cinzia Baccaglini, pubblicato in calce al recente libro di Francesco Agnoli "Storia dell'aborto" (edizioni Fede e Cultura), di cui si consiglia la lettura.
E’ caduto il muro di Berlino; dopo averne sbandierato l'innocuità e rivendicato il libero uso, sulla Cannabis l’Indipendent ha fatto un clamoroso passo indietro: “Cannabis: An apology - In 1997, this newspaper launched a campaign to decriminalise the drug. If only we had known then what we can reveal today...”; come, da ultimo, leggiamo anche nella bellissima enciclica di Benedetto XVI, Spe salvi, pure le ideologie (dell’Illuminismo, dell'800 e del secolo scorso, marxismo in testa) hanno fallito nel loro fine di procurare la felicità l'uomo, e rivelato i loro inganni.
Non si pretende che alla verità di quanto ho scritto sopra si aderisca subito ed acriticamente.
Ma, se sugli intangibili dogmi ed assiomi finora da qualcuno sbandierati sul concepito e sull'aborto e su quello che esso significhi per la donna; per l'uomo (come padre); per i figli; per i medici; per l'intera società, pensiamo di avere delle certezze, ecco, forse è il caso di fermarci un attimo a riflettere.
A riconsiderare il problema, disponibili a dire: forse ci siamo sbagliati.
Questo è il senso della moratoria sull'aborto.
Una battaglia non contro le persone, neppure contro le femministe della prima ora e più sfegatate.
Ma sulle idee, e, laicamente, per una antropologia.
Mi si perdoni se, qualche volta, ricorro ad immagini forti.
Ma, senza voler emulare il ‘Teatro della crudeltà’ di Antonin Artaud, credo che questo alle volte serva per scuotere coscienze intorpidite, prigioniere di effimeri slogan ed adagiate nella sonnolenta ed acritica adesione alla mentalità corrente.
Per favore, non nascondiamoci dietro i muri di facili proclami e di rigorose chiusure, ma (ri)pensiamoci.
Ed aiutiamo le donne (anzi: le mamme, perché tali sono dal momento del concepimento, e per sempre) in difficoltà a non temere la Vita.


(L'immagine è tratta dal sito internet http://www.fuoridallombra.it/)

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